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"PICCOLA OPERA REGINA APOSTOLORUM"

n. 2- aprile 2006



Presentazione

Cari Lettori,
in questo consueto appuntamento del Giovedì Santo, vi proponiamo le due belle figure dei nostri cari Co-Fondatori: S.Ecc.za Mons. Valentino Vailati (1914 - 1988) e Mons. Luigi Recagno (1906 - 1995).
Di Mons. Vailati, Arcivescovo di Manfredonia-Vieste pubblichiamo due Omelie del Giovedì Santo e tre Meditazioni eucaristiche che sono state proposte nell'ambito di un corso di Esercizi spirituali a Sacerdoti.
Di Mons. Recagno pubblichiamo volentieri la testimonianza di un sacerdote genovese.
Ci auguriamo che possano essere di aiuto per la riflessione e per la vita di ciascuno!
Inoltre documentiamo l'evento bello e commovente della Professione perpetua di Suor Sandra nella chiesa del Seminario di Genova.

A tutti auguriamo una Santa Pasqua ricca di gioia e pace. Il Signore raggiunga tutti con i suoi doni di grazia!

Suor Maria Giuseppina

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LE NOSTRE FONTI... PER MEDITARE
S.Ecc.za Mons. Valentino Vailati 
 

IL SACERDOTE: Uomo di Dio

Omelia Messa Crismale del Giovedì Santo

Manfredonia, 15 Aprile 1976

Come di consueto, s'interrompe il sacro rito della concelebrazione per la benedizione degli oli, per una pausa di riflessione sulla parola di Dio ora ascoltata.Il Signore ha fatto udire la sua voce - oggi, Giovedì santo - non soltanto a noi sacerdoti ministri dell'altare, mentre siamo nell'esercizio del nostro potere ministeriale; ma la sua voce è risuonata "viva e penetrante" anche per voi fedeli, presenti nella Chiesa Cattedrale, perché tutti insieme prendiamo coscienza di formare il Popolo di Dio.
"Cristo Signore, Pontefice assunto di mezzo agli uomini, fece del nuovo popolo un regno e sacerdoti per il Dio e Padre suo. Infatti per la rigenerazione e l'unzione dello Spirito Santo, i battezzati vengono consacrati a formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo, per offrire, mediante tutte le opere del cristiano, spirituali sacrifici, e far conoscere i prodigi di Colui, che dalle tenebre li chiamò all'ammirabile sua luce.
Tutti quindi i discepoli di Cristo, perseverando nella preghiera e lodando insieme Dio, offrano se stessi come vittima viva, santa, gradevole a Dio; rendano dovunque testimonianza di Cristo e, a chi la richieda, rendano ragione della loro speranza della vita eterna. Poiché siamo sacerdoti “ per Dio e per i fratelli”, è doveroso che noi periodicamente riflettiamo sulla nostra dignità che è responsabilità; sulla grandezza, che è servizio; sui nostri poteri, che diventano doveri assillanti sino allo spasimo. Il giovedì santo ci presenta una occasione privilegiata per scandagliare dentro di noi e vedere con tanta sincerità, se siamo veramente "Homo Dei”.
Bisognerà giudicarci, al di sopra di esteriori formalità che cambiano come le stagioni, su ciò che è essenziale all'uomo di Dio, come si è attuato in ogni periodo storico e in ogni ambiente sociale, sempre con lo stesso credito e con la stessa fecondità di apostolato.
Ad esempio, chiediamoci, in nome del nostro sacerdozio, se preghiamo; se, con serena vigilanza, sappiamo difenderci dalle persistenti attrattive del mondo, pur dovendovi vivere in mezzo. Chiediamoci, o fratelli, in quale misura noi sacerdoti, che siamo degli apostoli e non semplicemente degli esperti, sappiamo offrire alle anime quello che impariamo alla scuola dello Spirito Santo, giorno per giorno, avendolo prima sperimentato in noi stessi, con una generosa intimità con Dio, secondo l'espressione paolina: "La vostra vita è nascosta con Cristo in Dio" (Col. 3,2).
Il sacerdote è "Homo Dei". E lo deve essere non solo per il sigillo misterioso del sacramento dell'Ordine (Sacerdos in aeternum); ma anche per quella assimilazione dei sentimenti di Cristo (Hoc autem sentite in vobis quod est in Christo Jesu); per quella dimostrazione di Dio al popolo, che deriva soltanto dal contatto con Dio, per mezzo dell'ascolto della sua parola (tu autem homo Dei haec meditare...) e per mezzo della celebrazione vissuta dei sacri misteri (ut offerat dona et sacrificia).
Questo prete, "uomo di Dio", per quanto naturalmente limitato, è sempre il "santo", il "sacer dux", il "sacra faciens", che il popolo infallibilmente può definire. Da duemila anni questo schema non è cambiato.
Cambierà forse per l'avvenire?
La nostra tremenda responsabilità, o fratelli, è di dover cambiare il mondo, ossia di "trasformarlo" "in virtute Christi". Non è questione di evoluzioni scientifiche, tecniche, o di progresso sociale, che, se mai, impediscono di rendere uniformi le epoche; non è questione di imporre le nostre idee, le nostre scelte. Il mondo, se è solo aiutato dagli uomini, non avrà mai la forza per liberarsi dal peccato, per rendere fecondo il dolore, per santificare l’amore, per dilatare gli spazi della carità.Il mondo, se aiutato dal prete, “uomo di Dio”, dispensatore dei ministeri di Cristo”, ancora oggi si trasforma, rinverdisce e produce frutti di santità.

IL SACERDOTE: SERVO BUONO E FEDELE

Forse dobbiamo dire che siamo stati noi i primi a sottrarre la fede all’azione della grazia, alla potenza della preghiera, alla fecondità del sacrificio, alla concretezza di una vita “nascosta in Cristo”, alla misteriosa legge del grano di frumento, che, per portare frutto, deve cadere a terra e in essa marcire.
Perché non guardare, in questa prospettiva soprannaturale, il nostro sacerdozio, il nostro posto nella Chiesa, il nostro servizio nella diocesi? Perché non misurare con un giudizio che non viene dagli uomini, ma che è dono dello Spirito Santo, quello che siamo, quello che dovremmo essere al cospetto di Dio e della Chiesa?
L’antifona d’inizio della Messa crismale ci ha detto, con la freschezza eterna che ha la parola di Dio, che “Gesù Cristo ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre: a Lui dunque la gloria e la potenza” (Ap. 1,6).
Mi pare proprio che, soltanto credendo a questo mistero, il prete trova la sua identità; la serenità del suo darsi agli altri in un servizio ministeriale; il coraggio per partecipare con Cristo al mistero della Croce, per subire l’insuccesso, il fallimento, senza avvilirsi mai; la convinzione di essere un servo inutile, che ha fatto semplicemente quello che doveva fare.
È stato scritto che un soldato non vale per le medaglie che gli danno o per il seguito che riesce ad avere tra i suoi commilitoni, ma per la fedeltà alla sua bandiera. Così per il prete: vale la fedeltà!
E la "fedeltà" è cosa tanto seria, tanto alta, da non permettere che intorno si faccia della retorica e s'intrecci un'accademia. Basta il credere che il Signore, nel giorno ultimo, pronunzierà la parola che sazia ogni attesa: "Euge, serve bone et fidelis".
Bisogna quindi guardare lontano..., al di là della persona di chi, ora, è il vostro Maestro e Pastore; al di là delle istituzioni ecclesiali, per loro natura limitate; al di là dei componenti il presbiterio diocesano o il popolo di Dio, che è in Manfredonia e Vieste; al di là dei malcontenti, degli insuccessi, della incomprensione, della solitudine dentro di noi e fuori di noi.
Guardiamo al di là di tutto questo, non perché siamo degli utopisti, degli ingenui, dei deboli. Ma perché, con riflessa decisione, ci siamo messi alla sequela del Cristo, che, oltre l'esempio personale, ci ha anche avvertito "non poter essere il discepolo trattato in modo diverso del Maestro".
In occasione del Giovedì santo, noi sacerdoti siamo invitati ad arricchire il mistero della continuità del sacerdozio di Cristo, entrando nel cenacolo della Pasqua e della Pentecoste: qui incontrarci con Lui, lasciarci invadere dalla sua presenza divina, e poi uscire incontro ai fratelli per dare ad essi il lieto annunzio: Cristo è per tutti salvezza, vita, risurrezione!
Questi fratelli sono qui, in cattedrale, intorno a noi, in comunione di fede e di carità; sono qui per esprimerci la loro stima, per assicurarci la loro devozione, per chiederci di vivere sempre secondo la dignità e la responsabilità sacerdotale.
Cari fedeli, io vi ringrazio a nome di tutti i sacerdoti diocesani e religiosi; state vicino a noi con la vostra bontà; aiutateci con la vostra preghiera; compatiteci con la vostra longanimità. Abbiamo bisogno gli uni degli altri vicendevolmente, per edificare la chiesa del Signore, per diffondere nella nostra terra una coscienza cristiana, un costume cristiano.

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LE NOSTRE FONTI...PER MEDITARE
S. Ecc.za Mons. Valentino Vailati 


MINISTRI DEL SIGNORE E SERVI DEL POPOLO DI DIO
 

Omelia Messa Crismale del Giovedì Santo

Manfredonia 19 aprile 1984

Torna il Giovedì santo con la celebrazione della Messa crismale, che manifesta la comunione dei presbiteri e dei diaconi con il loro Vescovo, il quale è un segno visibile dell'unità del ministero sacerdotale nei suoi gradi. Ritorna questo sacro rito, durante il quale i sacerdoti rinnovano le promesse della Ordinazione ricevuta da pochi o da tanti anni, ma sempre per divina misericordia. Ritorna questo giorno venerando, in cui è posto in particolare evidenza il dono del sacerdozio ministeriale e della Eucaristia nella Chiesa e per la Chiesa.
Certo: la celebrazione offre spunti di catechesi per tutti i sacramenti, che sono offerti, come strumenti di grazia al popolo di Dio, per la sua santificazione; ma i temi fondamentali della liturgia crismale sono la consacrazione sacerdotale del Figlio di Dio, il sacerdozio ministeriale nelle sue funzioni e nei suoi doveri.
Allora, guardando ai numerosi fedeli, fratelli e sorelle, presenti stamane in Cattedrale, mi domando: forse che questa liturgia legittima, nel popolo di Dio, delle esclusioni, delle differenziazioni? Affatto: essa proclama soltanto l'ordine gerarchico, che Gesù Cristo ha voluto stabilire nella sua Chiesa, come elemento essenziale; ne dichiara la responsabilità pastorale; e richiama lo spirito di servizio, ad esempio del sommo ed eterno sacerdote Gesù Cristo, che presenta la sua persona ed il suo ministero con queste parole:
"Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio (Lc. 4,18)".
Le medesime parole osiamo applicare a noi sacerdoti
Ordinati, desiderando, in verità ed umiltà, verificare se davvero siamo i ministri del Signore e i servi del popolo di Dio.
Il Santo Padre Giovanni Paolo II, in occasione di questo Giovedì santo 1984, ha indirizzato ai sacerdoti di tutta la Chiesa Cattolica una lettera, che riporta l’omelia da Lui detta per la celebrazione del Giubileo dei sacerdoti (23 febbraio 1984), nella quale, illustrando i misteri della Redenzione e della Eucaristia, invita i sacerdoti ad introdurre nella propria esistenza e in quella degli uomini sulla terra, la “dimensione della Redenzione e della Eucaristia”.  Notate che il termine “dimensione” ha un significato molto impegnativo e si estende a tutta la vita del sacerdote: lo coinvolge in tutta la sua pienezza.

MINISTRI DEL SIGNORE

“La nostra unione sacerdotale è inserita profondamente nella stessa unzione messianica di Cristo”.  Lui ci ha redenti e ci ha scelti per essere collaboratori di salvezza per gli altri; siamo redenti per salvare…
Il divino Fondatore del nostro sacerdozio ci trasmette il suo carisma, che il profeta Isaia esprime con le parole ascoltate nella prima lettura: siamo cioè coloro che debbono fasciare le piaghe dei cuori umani; coloro che debbono proclamare la liberazione in mezzo alle molteplici afflizioni, in mezzo al male, che, in tanti modi, tiene l’uomo prigioniero; coloro che debbono consolare gli afflitti.
La redenzione, con la sua potenza di espirazione e di grazia, penetra nell’immenso mondo del peccato e delle miserie, sia spirituali sia materiali degli uomini; e, per un misterioso disegno di amore, chiama i sacerdoti ad esserne collaboratori ministeriali: redenti per salvare altri fratelli.
Durante la celebrazione della prima Messa della storia, Gesù Cristo ha pregato il Padre per la nostra fedeltà alla "dimensione redentrice", così:
"Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu mi hai mandato nel mondo, anch'io li ho mandati nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch'essi consacrati nella verità" (Gv. 17,15-19).
Riflettiamo: siamo stati consacrati poco prima che Gesù Cristo consacrasse se stesso nella Eucaristia; siamo stati consacrati per vivere nel mondo, ma senza assorbire lo spirito del mondo, disposti ad ascoltare e a trasmettere la Parola di Dio a coloro per i quali Cristo ha pure pregato: gli uomini e le donne del nostro tempo, i giovani e gli anziani del nostro cammino.
Non occorre aggiungere commenti. Possono essere utili due fraterni richiami.
l - Senza cedere al pessimismo dobbiamo constatare che l'ambiente, il costume, la mentalità, in cui viviamo, vanno cedendo al paganesimo, al materialismo, in forme le più varie e seducenti. Quindi può accadere a noi sacerdoti di vederci strappare le radici, come capita agli alberi. Ne segue la crisi di identità e la tristezza di una missione non più guidata dalla fede. Il pericolo non è illusorio. Perciò il Papa, nel giubileo dei sacerdoti, li ha invitati alla "conversione", ad una conversione permanente, ossia a ritornare alle sorgenti, alle radici del nostro sacerdozio, difendendoci da un secolarismo che si annida spesso tra noi e tra coloro che fanno popolo intorno a noi. Credendo che il sacerdote è uomo redento e ministro della redenzione, noi ci difenderemo dal subdolo ed invadente secolarismo moderno.

2 - Chi non ricorda le parole di Gesù, riferite da Luca (17,10): “… Siamo servi inutili”?  Sappiamo anche spiegarne il genuino significato… Ma in questo nostro tempo, così complesso e disorientato, potrebbe essere entrata, nella convinzione di alcuni di noi, l’idea di una inutilità sociale, di ben altro taglio, di altro significato.  Qualche studioso di problemi sacerdotali parla a riguardo di un “male oscuro”, che può paralizzare il sacro ministero e che si manifesta in stanchezza, disorientamento, sfiducia….
Qui non servono i ragionamenti.  La difficoltà si risolve accettando nella nostra vita il “Mysterium Crucis”, con i suoi fallimenti, dolori, abbandoni, tradimenti.  Tenebrae factae sunt” !Ma la pasqua non è una realtà sempre viva e sempre storica?  Moriamo con Cristo e con Lui risorgiamo.
La nostra parola, anche quando sembra voce che grida nel deserto, cammina nel mondo e nessuno può fermarla, perché è Parola di Dio.  La nostra preghiera liturgica batte al cuore di Dio e ritorna sulla terra come forza irresistibile di grazia, che illumina le menti e piega le volontà alla salvezza.
I sacramenti, particolari quello della riconciliazione o penitenza, anche se celebrati nel segreto e senza “spettacolo al mondo”, diventano strumenti di redenzione per tanti fratelli, che ne beneficeranno per la vita eterna.  La nostra quotidiana testimonianza di poveri, obbedienti, casti alla sequela di Cristo, eleva la società, la famiglia, gli individui, specialmente i giovani, a creare soprattutto il Regno di Dio, ad aprirsi alla vita.
Siamo inutili, nel senso evangelico, ma siamo necessari.
Il Papa ce lo ricorda con alcune frasi emblematiche:

- Sacerdote: sei l’uomo dell’economia salvifica.

- Sacerdote: sei uomo plasmato dalla grazia.

- Sacerdote: sei amministratore della Grazia

- Sacerdote: vivi nella dimensione della Redenzione

SERVI DEL POPOLO DI DIO

Ora il discorso si rivolge a voi, carissimi fedeli, fratelli e sorelle. Ho parlato prima ai presbiteri, per indicare che essi, "presidenti" di un popolo sacerdotale, si pongono in totale servizio per la vostra crescita nella conoscenza e nella grazia di Cristo. La loro ordinazione mediante il sacramento non li segrega da voi: lungi dall'essere una sterile e aristocratica separazione, è consacrazione totale al vostro servizio; non è allontanamento dagli uomini, ma ricchezza di relazioni.
Il prete non deve porre limiti alla geografia dei vostri bisogni; non deve spegnere nessuna speranza e mai rifiutare la fatica di aprirsi, di comunicare con voi. Avete perciò il diritto di chiedere, a me Vescovo e ai presbiteri di questa Chiesa Sipontina- Viestana, che, sull'esempio dell' Apostolo Paolo, ci spendiamo volentieri e senza risparmio per la vostra salvezza (2 COL 12,15).   .
Che cosa attendete voi laici dal sacerdote, oggi? Vi fa da interprete autorevole Madre Teresa di Calcutta, che si è rivolta ai sacerdoti durante il Giubileo mondiale con queste parole:
"La Chiesa, le famiglie, noi religiosi e religiose, il mondo intero, non abbiamo mai avuto tanto bisogno, come oggi, di tanti sacerdoti, di veri sacerdoti: santi come Gesù, solamente ed interamente di Gesù per Maria, in modo che possano mostrarci, con il loro esempio e la loro vita, la vera santità. Abbiamo bisogno che ci insegniate a pregare, come Gesù ha insegnato ai suoi apostoli. Abbiamo bisogno di imparare da voi come amare i poveri, come Gesù camminò facendo il bene e così insegnò ai suoi discepoli come amare i poveri. Abbiamo bisogno di imparare da voi come conservare la nostra purezza, puri, la nostra castità, casti, la nostra verginità, vergini. Abbiamo bisogno di imparare da voi come essere uniti col Santo Padre, ubbidirgli e amarlo, come insegnò ai suoi discepoli con la sua ubbidienza al Padre e la sua unione con il Padre fin sulla croce”.
Pregate per noi, o fratelli, affinché possiamo rispondere sempre generosamente alle vostre richieste, e affinché il nostro esempio susciti negli adolescenti e nei giovani il desiderio di consacrarsi a Cristo nello stato sacerdotale.
Per tutti interceda la beata Vergine Maria, Madre di Cristo, Madre della Chiesa, Regina degli Apostoli, aiuto del popolo cristiano.

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LE NOSTRE FONTI...PER MEDITARE
 

S. Ecc.za Mons. Valentino Vailati 

ADORO TE, DEVOTE

Riportiamo alcune meditazioni proposte ai Sacerdoti da Mons. Valentino Vailati.
Sono tratte da un Corso di Esercizi spirituali sull’Eucaristia.
 


L’EUCARISTIA: MYSTERIUM FIDEI

 “… Sacrificio Eucaristico, il quale risulta quindi il centro e la radice di tutta la vita del presbitero” (PO 14b) ...
Come capire ciò e viverlo? Mediante la fede
Dopo la consacrazione del pane e del vino che diventano il Corpo e il Sangue di Cristo, il celebrante esclama:
“Mistero della fede”.
I fedeli rispondono con tre formule che annunziano un aspetto del Mistero, ma non la sua totalità.
Vediamo di approfondire il significato di quella esclamazione liturgica, che più esattamente dovrebbe essere tradotta così:  E’ il Mistero della Fede”, [cioè] attenti a quanto è avvenuto sull’altare, nella potenza dello Spirito, per mezzo del mio sacerdozio.

I. L'Eucaristia: il mistero

L’Eucaristia non è soltanto un mistero della fede, ma è il mistero per eccellenza.  Che cosa vogliono dire?
Intendiamo anzitutto affermare il rapporto strettissimo che unisce Eucaristia e Fede.  Non c’è infatti autentica fede cristiana senza l’Eucaristia di cui la fede vive e [con cui] cresce:

-all’Eucaristia sono strettamente uniti e ordinati, come al proprio fine, tutti gli altri sacramenti, i misteri e le opere di apostolato (PO 5b);

- soprattutto l’Eucaristia è la “fonte e il culmine di tutta l’evangelizzazione” (PO 5b);

- proprio per questo rapporto che intercorre tra Eucaristia ed evangelizzazione, ossia tra l’Eucaristia e la fede intesa come oggetto e contenuto della evangelizzazione, diciamo che l’Eucaristia è il mistero della fede in cui sono racchiusi tutti i misteri del Vangelo, e quindi diciamo che tutto il Vangelo si concentra e si riassume nella Eucaristia..

Un teologo (J. MOUROUX) ha detto che l’Eucaristia è un “mistero relazionale”, in quanto davvero nella Eucaristia convergono tutti misteri della Rivelazione, e per l’Eucaristia essi si comunicano in maniera vitale alla Chiesa e ai singoli credenti.  Questo comporta che credere nella Eucaristia vuol dire accettare tutto il deposito della fede ed essere nella comunione ti tutta la fede, nella chiesa.

  1. L’Eucaristia e la Trinità

Una semplice lettura della anafore eucaristiche fa risaltare subito quale intimo legame unisce l’evento eucaristico alle divine persone del Padre, del Figlio e dello Spirito.  Le invocazioni rivolte all’una o all’altra Persona s’intrecciano sino a culminare nella solenne dossologia finale: “per Cristo (…) a Te, Padre (…) nell’unita dello Spirito Santo”.
Fin qui i testi liturgici.
La teologia insegna che tutta la SS.Trinità e presente là dove c’e una sola persona divina.
Nella Eucaristia Gesù – seconda Persona Trinitaria – è presente in modo reale e concreto, quasi “corporalmente”, per stabilire la sua dimora in noi.  Ma questa presenza del Figlio è il dono del Padre che si compie per l’azione dello Spirito Santo.
Il Cristo Eucaristico è identico al Cristo narrato nei Vangeli. Proprio da essi impariamo l’indivisibile unità di Gesù con il Padre e con lo Spirito Santo… dove è Uno è anche l’Altro.
O Beata Trinitas!

  1. L’Eucaristia e la Redenzione

Il Vaticano II ha ribadito più volte che nell’Eucaristia si attua l’opera della nostra redenzione.  Essa è l’attualizzazione, nella storia, dell’unico Sacrificio della Croce.  Essa è ancora l’anticipazione del Regno futuro della risurrezione già presente nel Cristo Eucaristico.
Insomma, l’Eucaristia è la presenza, la memoria, l’attesa dell’unico mistero della Redenzione che in Cristo Gesù si compie per tutti come l’oggi della salvezza.

  1. L’Eucaristia e la Chiesa

Su questa relazione la riflessione di fede è iniziata con il Vaticano II. Dovrà essere approfondita.
La Chiesa nasce ogni giorno dalla Eucaristia, cresce e si misura su di essa.  Ogni giorno l’Eucaristia fa la Chiesa.  Solo alla fine non ci sarà più Eucaristia e non ci sarà più nemmeno la Chiesa.

  1. L’Eucaristia e l’escatologia

“… Et futurae gloriae nobis pignus datur” (Liturgia).  S. Giovani riassume il frutto della Eucaristia nella “vita eterna” e nella “risurrezione” [Cfr. Gv 6].
La realtà significata e contenuta nel sacramento è il Cristo pasquale e trionfante nell’eternità, alla destra del Padre, dove è andato per preparare un posto ai suoi [Gv 14,3].
Perciò l’Eucaristia è il sacramento della speranza finale.

II. Per la revisione di vita

Essendo l’Eucaristia “centro e radice” di tutta la vita del presbitero, ne deriva che il sacerdote deve rispecchiare in sé ciò che viene realizzato sull’altare. “Ma ciò non è possibile se i sacerdoti non penetrano sempre più a fondo nel mistero di Cristo con il raccoglimento e la preghiera” (PO 14b).
Contro il raccoglimento e la preghiera che si nutrono della fede, ci sono per noi questi ostacoli:

  1. la mancanza di riflessione o superficialità.  La superficialità è un difetto grave anche nell’ordine naturale.  Rende l’uomo antipatico e non affidabile.  Quanto più è grave nell’ordine della grazia in un sacerdote.  Essa è causa ed insieme effetto di altri disordini;
  2. l’attaccamento alle cose mondane: televisione, riviste, sport, ambiente, esibizioni ecc.  Non diventarne servi. 
  3. La trascuratezza della meditazione sulla Parola di Dio,  Verbum Salutis.  La fedeltà alla meditazione quotidiana è come il termometro della vostra vita spirituale. Come stiamo al riguardo?

III. Conclusione

Concludo con un ricordo personale.  Un padre gesuita che ci predicava gli Esercizi in preparazione al Suddiaconato (olim!), al termine ci invitò a riflettere su questa frase:  “Il giorno in cui trascuro la meditazione, corro il rischio di commettere un peccato mortale”.

Il detto non deve esser intesso alla lettera, ma vale come saggio, sperimentato avvertimento.

 

LA RISPOSTA DELLA FEDE AL MISTERO

Uno che non credeva nella presenza reale ha detto: “Se io potessi credere che lì sull’altare c’è davvero Dio, credo che cadrei in ginocchio e non mi rialzerei più”.

Visus, tactus, gustus in te fallitur,

Sed auditu solo tuto creditur:

Credo quidquid dixit Dei Filius:

Nihil hoc verbo veritatis verius”.

L’unico mezzo efficace per farci accettare in salvezza il Mistero Eucaristico è la Fede.

Plagas, sicut Thomas, non intueor:

Deum tamen meum te Confiteor:

Fac me tibi simper magis credere,

In te spem habere, te diligere.

I.  Credere

Questa capacità non viene da me; mi è stata gratuitamente donata nel Battessimo.

E’ una virtù che nasce sacramentalmente in noi, ma non da noi, perché essa è dono esclusivo del Padre, è una forza calamitante del Padre che ci attira al Figlio per renderci simili a Lui (figli adottivi).
La fede è la “potenza di Dio” nell’uomo, è la “luce di Dio” che illumina interiormente il credente portandolo a giudicare la vita e la storia non con i giudizi umani, ma con gli stessi giudizi di Dio; è dunque “partecipazione” all’intelligenza stessa di Dio, alla sua vita per cui noi tutti siamo “figli di Dio per la fede in Cristo Gesù” (Gal 3, 26).
“Credere significa la consegna personale che l’uomo fa di se stesso a Dio, un dire amen a Dio ed un fondare senza riserve l’esistenza su di Lui”.
Per fede noi crediamo al Mistero Eucaristico:
“In cruce latebat sola Deitas,
At hic latet simul et humanitas:
Ambo tamen credens atque confitens (…) »

Nel discorso della promessa eucaristica, Gesù domanda assolutamente la Fede (Gv 6. 22-70).
Dinanzi alla rivelazione del progetto – dare la sua carne in cibo – Gesù chiede la fede.  Condizione ineludibile per rimanere i comunione con Lui, e quindi avere la vita eterna, è soltanto la fede.
“Forse anche voi volete andarvene?” (Gv 6.67), Pietro risponde. Pietro ha imboccato l’unica via.
Con ques’atto di fede, Pietro accetta tutta la persona di Gesù Cristo, il suo sacrificio di redenzione, la donazione conviviale del suo Corpo e del suo Sangue, la sua Risurrezione che renderà credibili “le parole di vita eterna”, per la Chiesa, per sempre.

 II. Incontro personale con il Signore Gesù

Ho detto con l’atto di fede, Pietro accetta tutta la persona di Gesù Cristo.
Ora mi chiedo: che valore ha il mio atto di fede nel Mistero Eucaristico?
“La fede cristiana non si identifica con la pura accoglienza di un complesso di verità sebbene non possa sussistere senza l’adesione della mente alla verità rivelata e la continua, amorosa ricerca dell’intelligenza di essa.  La fede cristiana non si riduce neppure alla semplice obbedienza ai comandamenti del Signore, sebbene non possa prescindere della coerenza della vita con la verità che si professa.
La fede cristiana manifesta la sua assoluta originalità e novità nell’essere un incontro ‘personale’ con il Signore Gesù, una comunione e condivisione di vita con Lui.
‘Venite a vedrete’, dice Gesù ai primi discepoli,ed essi ‘si fermarono presso di lui’ (Gv 1, 39). Vedere il Signore, dimorare con lui e in lui (Gv 15, 1-11), questa è la scelta radicale che il Vangelo propone e che costituisce il criterio e la misura della maturità del discepolo di Cristo.  E’ da questo incontro e da questa comunione personale che nasce la forza della testimonianza e lo slancio della missione.  ‘Ho visto il Signore’ è il grido di Maria di Magdala dopo l’incontro con il Maestro risorto (Gv 20, 18), e lo stesso dicono i discepoli che hanno ricevuto dal Risorto il dono della pace e dello Spirito:  ‘Abbiamo visto il Signore’” (Gv 20, 25).
Brevemente in Rm 10, 10: “Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza”.  La professione della retta fede ha preso spesso il sopravvento sul credere con il cuore [quale] atto soggettivo sorretto della Grazia che è fiducia e abbandono in Dio.

III. Fede, speranza, carità

Fac me tibi sempre magis credere,
n te spem habere, te diligere

La fede non è mai sola; nel Battesimo [essa] ci viene infusa insieme con la speranza e con la carità.
Nella Scrittura, la fede viva è sempre congiunta con la speranza e con l’amore.

Alcuni testi a modo di esempio:

“Ringraziamo sempre Dio per tutti voi (…), continuamente memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno della fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo” (1 Ts 1,2).

“Noi rendiamo continuamente grazie a Dio (…) per le notizie ricevute circa la vostra fede in Cristo Gesù, e la carità che avete verso tutti i santi, in vista della speranza che vi attende nei cieli” (Col 1,3-5).

Queste tre virtù formano un’unità: “Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!” (1 Cor 13, 13).  Vuol dire che in tutte e tre, insieme, si compie l’esistenza cristiana.
Nella nostra vita spirituale, le tre virtù teologali si intrecciano ed influiscono vicendevolmente: la fede viva fa crescere e rafforza la carità; a sua volta la carità dà vita alla fede specialmente nelle tentazioni; fede e carità insieme fanno fiorire la speranza, e la speranza a sua volta rende fiduciosa la fede e la carità.

Davanti al Mistero Eucaristico:

-          con la fede, credo

-          con la speranza e con la carità amo

-          con tutte e tre queste virtù, “adoro”.

  IV. Per la revisione di vita

Adoro Te devote (…)

“Mio Dio,

ti adoro con la mia compunzione perché alla tua luce ho scoperto tutto il mio essere niente e tutta la mia miseria colpevole;

ti adoro con l’olocausto di questa mia povera vita: fanne quello che vorrai;

ti adoro con la mia immolazione alla tua volontà;

ti adoro con il mio abbandono a ciò ora mi fai conoscere del tuo disegno di amore.

Mio Dio , ti adoro in pace a ti amo”.
 


RENDIAMO GRAZIE AL SIGNORE NOSTRO DIO

Ci mettiamo in adorazione davanti al Mistero Eucaristico.  Esso raggiunge il suo vertice nella celebrazione del rito conviviale durante il quale Gesù ci fece dono della sua presenza sacrificale ed istituì il nuovo Sacerdozio.

Il rito conviviale è iniziato e accompagnato da una grande “azione di grazie” che dice il significato ultimo di questo banchetto.

 I. Gratias agere!

Vediamo i vari testi.

Notiamo anzitutto che l’invito a “ringraziare” Dio, “cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza” è espresso all’inizio di ogni Prefazio, dove si enuncia il tema dell’azione di grazie che varia secondo i tempi liturgici, le solennità e le feste.
[Quindi] nelle varie Preghiere Eucaristiche (Canoni), si ricorda sempre il gesto di Gesù Cristo che durante la Cena “prese il pane (…), e alzando gli occhi al cielo a te Dio Padre suo onnipotente, rese grazie con la preghiera di benedizione”.
Ora ci domandiamo [quale] significato ha per Gesù Cristo rendere grazie al Padre in una circostanza così straordinaria come è l’ultima Cena.
Una risposta sinteticamente completa l’abbiamo nella IV Preghiera Eucaristica dove si proclama la storia della salvezza, per cui Cristo, che è il protagonista, ringrazia il Padre che ha tanto amato il mondo da mandare a noi il suo Unico Figlio come Salvatore.
“(…) E’ bello cantare la tua gloria, Padre santo (…)”. (leggere il testo sino all’epiclesi).

II. Contemplare

Che significato ha per noi sacerdoti il gratias agere?

a)  Direi che per noi “ringraziare” è dare anzitutto uno sguardo contemplativo sopra la Persona che è nascosta nel Mistero, e sopra tutto quello che ha fatto per noi: alleanza di salvezza e scelta di noi, poveri e indegni, come Ministri dei suoi misteri.  “Signore, quanto sei grande! Cosa potevi fare di più per noi?  Quanto sono mirabili le tue opere!.     Nella Esortazione Apostolica Pastores dabo vobis, n.25 si legge: “La coscienza di essere ministro di Gesù Cristo Capo e Pastore comporta anche la scienza grata e gioiosa di una singolare grazia ricevuta da Gesù Cristo: la grazia di essere stato scelto gratuitamente dal Signore come strumento vivo dell’opera di salvezza.  Questa scelta testimonia l’amore di Gesù Cristo per il sacerdote.  Proprio quest’amore, come e più di ogni altro amore , esige la corrispondenza (…)”.

b)   Una prima espressione di questo rendimento di grazie è, da parte nostra, la preghiera di lode.   “Santo, Santo Santo”, così si risponde ad ogni prefazio che ci ha proclamato i Mirabilia Dei.  La preghiera di lode è tipicamente biblica e per noi ha la sua espressione ufficiale nella Liturgia delle Ore, di cui nel decreto Presbyterorum ordini, n.5 si legge: “Le lodi e il ringraziamento che rivolgono a Dio nella celebrazione eucaristica, i Presbiteri li estendono alle diverse ore del giorno con il divino Ufficio, mediante il quale pregano Dio in nome della Chiesa e in favore di tutto il mondo”.  Il documento più bello e più ampio intorno alle preghiera di lode è la Costituzione Apostolica di Paolo VI, Canticum Laudis (1970), seguita da Principi e norme per la Liturgia delle Ore.

III. La gioia

Un’altra espressione del gratia agere, per noi sacerdoti, è la gioia propria di chi sa spalancare lo sguardo sulle cose meravigliose che Dio ha fatto in noi.
Nella celebrazione liturgica questo sentimento si esprime con il canto, perché cantare amantis est, è proprio di chi ama cantare.  E si canta e si loda sempre e in ogni luogo!
Pensiamo: la grazia di essere sacerdote! Perché?  La risposta è quella che la Chiesa ha sempre dato: questo ministero o servizio risponde ad un appello di Cristo a donarsi totalmente a Lui.
Nella Chiesa, popolo di Dio tutto sacerdotale, Cristo sceglie alcuni ministri o servitori che gli appartengono interamente, per compiere la missione del Vangelo attraverso la storia.  Il sacerdote può dire con san Paolo: “(…) a causa della grazia che mi è stata concessa da parte di Dio di essere un ministro di Gesù Cristo tra i pagani, esercitando l’ufficio sacro del vangelo di Dio perché i pagani divengano una oblazione gradita, santificata dallo Spirito Santo” (Rm 15, 16).
Il sacerdozio ministeriale nella Chiesa è una liturgia di adorazione del Cristo, una continua offerta a Dio di tutti gli uomini, una consacrazione di questa offerta nella potenza dello Spirito Santo.
La natura specifica o il carisma del ministero sacerdotale è anzitutto di essere consacrati a Dio solo (il carattere sacramentale), per poi guidare il popolo nell’ascolto del Vangelo, nella fede, nella santificazione.  Si è talvolta insistito troppo sul servizio del sacerdote nell’interno della comunità, dimenticando che egli è anzitutto un uomo di Dio prescelto per servirlo in una comunione personale unica con Lui.
Il sacerdote è scelto essenzialmente per essere tutto a disposizione di Dio solo, per mezzo di una grazia da cui scaturirà il servizio agli altri.
Dopo il dono del sacerdozio ricevuto senza alcun nostro merito, ma unicamente per un misterioso gesto di amore (“Seguimi…”) [Mt 9,9 e par], Gesù richiede la nostra risposta: “Rimanete nel mio amore” (Gv 15,9): rimanete in me, L’amore si verifica nell’osservanza dei comandamenti del Padre: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi.  Rimanete nel mio amore (…) Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15, 9-11).
La “gioia” di essere preti!

IV. Per la revisione di vita 

  1. La vexata quaestio della “solitudine” del prete: [cfr.] Praesbyterorum ordinis, 22c:  “I presbiteri non devono perdere di vista che nel loro lavoro non sono mai soli, perché hanno come sostegno l’onnipotenza di Dio”.
  2. Un prezioso suggerimento è la amicizia fraterna tra i sacerdoti giovani e anziani.  Ne parla il decreto   Praesbyterorum ordinis, 8: “Pertanto ciascuno è unito agli altri membri di questo Presbiterio da particolari vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità (…)”.  Al n. 17: “Grazie ai rapporti d’amicizia e di fraternità fra di loro e con gli altri uomini, i Presbiteri sono in grado di imparare ad aver stima per i valori umani e ad apprezzare i beni creati come doni di Dio”.

     Amiamo la comunione presbiterale ed evitiamo l’individualismo personale e ministeriale che è stato definito un peccato contro il Presbiterio.

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LE NOSTRE FONTI...TESTIMONIANZE 


A DIECI ANNI DALLA MORTE DI MONS. LUIGI RECAGNO

di Mons. Carlo Canepa 

Alla fine del 95 l’anno dell’avvicendamento dei due Arcivescovi , il presbiterio genovese ha avuto la chiamata al cielo di due degnissimi confratelli, Monsignor Luigi Roba il 23 novembre e Monsignor Luigi Recagno il 25 che hanno lasciato una luminosa impronta nella nostra Chiesa particolare.
Ricordo, come si fosse ieri, di aver conosciuto Monsignor Luigi Recagno quando avevo appena 9 anni ed ero chierichetto nella mia parrocchia di S. Giacomo di Pontedecimo.  Era la domenica 18 ottobre 1953 e celebrò la messa di San Luca  in casula rossa e nel pomeriggio presiedette una storica processione per il Centenario della Madonna Lauretana.
Poi lo rividi in Seminario negli anni 60: veniva al Chiappeto per la Messa de Spiritu Sancto all’inizio dell’anno scolastico: una Messa come tutte le altre, ma con un timbro di devozione che mi rimbalza nel cuore ogni volta che leggo la pagina degli Atti….
Poi gli incontri di Sacerdote novello quando spettava al Vicario Generale comunicare le designazioni alle Parrocchie e a volte fare tante consultazioni per provvedere le Parrocchie disagiate come Senarega e l’Isola di Capraia.
Era nato a Cesino il 14 settembre 1906; suo papà Giacinto morì a seguito di un banale intervento lasciandolo orfano all’ età di 2 anni ..  Ricordo che mi aveva raccontato in confidenza anche di un pericolo occorso alla vedova e al bimbo proprio in quel di Sampierdarena
La Mamma Rachele Traverso (era nata a Busalla dove ritornava volentieri con il figlio a incontrare i parenti) trovò servizio presso Don Cordiglia prima a Mignanego e poi a S. Fede dove Don Luigi fu ordinato dal Card. Minoretti il 18 agosto 1929.  La Signora Rachele visse poi fino a 93 anni e rimane in presenza affettuosa e silenziosa accanto al figlio dopo gli studi a Roma - era stato ospite presso i Figli di Maria , fu professore di Teologia Dogmatica nel Seminario Maggiore e contemporaneamente, insegnante di Religione al Liceo “Colombo” dal 1939 al 1949.

Cappellano della Parrocchia di S. Fede dal 1930 al 1931 e dell’Istituto “Casaretto” dal 1931 al 1937.
Direttore del conservatorio Penitenti dal 1937 al 1943 e del Conservatorio Fieschi dal 1943 al 1958
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Direttore Spirituale al Seminario Maggiore dal 1944 al 1951.
Assistente Ecclesiastico della Gioventù femminile di AC dal 1950.
Direttore delle Figlie della PORA ..
Rettore del Convitto Ecclesiastico dal 1958
Canonico onorario della Cattedrale e Provicario generale dal 1951.
Vicario Generale dal 1954 al 1986,

Questi cenni biografici restano la trama di una personalità adamantina e cristallina pur nascosta dalle apparenze lineari, umili e modeste del “prete genovese” che parlava volentieri in dialetto con semplicità ed incisività, il quale all’occorrenza sapeva anche essere faceto e scherzoso.
Fu un prete santo e bastava incontrarlo ed ascoltarlo per intuire e capire…
Ricordo che allora era compito del Vicario Generale visitare periodicamente i Sacerdoti nei vicariati e tenere una meditazione appropriata per il Ritiro Spirituale: le sue lezioni avevano sempre una novità ed una freschezza di messaggi che derivavano da una esperienza mistica e da una soda spiritualità Sacerdotale.
Ero molto colpito del suo costante impegno di aggiornamento per stare fedelmente al passo con il cammino della Chiesa negli anni del Concilio e del dopo Concilio.
Era per me di esempio   per constatare che sapeva sfruttare tutti i ritagli di tempo per studiare i documenti e per centellinarli con variopinte evidenziature e, siccome la vista era debolissima, si faceva trascrivere a caratteri grandi tutti i documenti.
Ricordo una delle ultime novità: un sacerdote di Ventimiglia gli aveva fornito il Catechismo della Chiesa Cattolica a grandi caratteri.
A parte queste memorie era ampiamente ammirato per il suo zelo pastorale che dimostrava per la Parrocchia dei Santi Pietro e Paolo:
il Giovedì Santo riusciva a portare 30 comunioni perché i suoi malati facessero il Precetto Pasquale proprio nel giorno dell’Eucaristia.
Ma la sua opera di ministro di Dio rimane racchiusa nel cuore di Dio perché Monsignor Recagno era direttore Spirituale di anime grandi ed elette; penso avesse il dono della “scrutatio cordium”….
Ricordo una volta Madre Ginevra, Generale delle Ravasco che mi confidava quanta pace avesse ricevuto da un incontro con lui in un momento difficile; ricordo inoltre che era il confessore di Giacomino Costa, un laico grande ed esemplare che dovremmo evidenziare per l’amore e il servizio  fedele alla nostra Chiesa genovese.
Monsignor Alessandro Piazza vescovo di Alberga dal 1965 al 1990 ogni sabato veniva a confessarsi a Genova da Monsignor Recagno!
Il ricordo del Cardinale Siri rimane indelebile per i suoi quarantun anni di episcopato, ma dietro le quinte, c’era Monsignor Recagno fedelissimo e puntualissimo : a volte era anche parafulmine del grande Arcivescovo.
Anche se l’età e gli acciacchi e la parziale cecità ne indebolivano la parte fisica, il suo spirito lasciava sempre trasparire una luce soprannaturale che è la perenne giovinezza del sacerdozio cattolico e Don Luigi irradiava un “aura di presenza superna”!
Ricordo il 23 novembre 1986 a San Matteo per l’ingresso dell’ Ab. Rapallo:  Mons. Recagno “in nigris” ci disse sommessamente che a lui la befana portava un dono: capimmo che era il dono tanto desiderato di essere sollevato dall’onere di Vicario Generale dell’Arcidiocesi.
Una delle ultime apparizioni ufficiali fu l’ 11 marzo del 1994 quando la PORA ebbe il riconoscimento di Congregazione Religiosa di Diritto Diocesano: interviene come prelato, parlò proprio in maniera accorata ed ispirata.
E per questo mi piace concludere citando l’omelia del Card. Tettamanzi in occasione dei funerali:

“Penso, in particolare, al servizio ch’egli ha reso per il cammino spirituale alle Figlie della PORA, da lui aiutata  a qualificarsi nell’amore alla Chiesa e al Sacerdozio; e a quello più vasto e impegnativo dell’essere Vicario generale. Ho detto che Mons. Recagno ha servito la nostra Arcidiocesi per tanti anni e con compiti diversi.  Ma ciò che più ce lo fa ammirare è la tonalità morale e spirituale che egli ha saputo imprimere nel suo servizio; un servizio all’insegna della bontà, della mitezza, della discrezione, della saggezza, della sollecitudine pastorale, dello spirito di fede.

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AVENIMENTI DI CASA

La Professione Perpetua di suor Sandra Orlandi 

“TUA …. PER SEMPRE”

Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo….Risposi: Ahimè, Signore Dio, ecco….sono giovane. Ma il Signore mi disse : Non dire sono giovane…..”. Queste parole di Geremia hanno avuto una risonanza particolare nella mio cammino perché la vocazione religiosa l’ho sentita molto giovane e ringrazio Dio di avermi scelta a condividere con Lui una vita così intima. Mi ha sostenuta e guidata, ho sentito la sua mano, anche attraverso momenti di prova, ma con la certezza di un progetto d’amore che esprime bene  Paolo quando dice:  “Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno”. Tutto questo cammino ha  raggiunto il suo compimento nel “essere tutta Sua e per sempre”: questa è la peculiarità della professione perpetua e questa è la grazia che il Signore ha fatto a me il 25 Febbraio di quest’anno.

Ho detto il mio SI definitivo a Colui che mi ha “amata di un amore eterno” e questo è avvenuto nel seminario di Genova alla presenza di S. Em.  Card. Tarcisio Bertone e S. Ecc. Mons. Luigi Palletti, della mia Comunità, dei miei familiari e di tanti sacerdoti ed amici

 Il Signore mi ha chiamata nella Piccola Opera Regina Apostolorum. Essa vive il carisma del “per loro consacro  me stesso” che si esprime nell’offrire la giornata, la preghiera, il lavoro… la vita per i sacerdoti in qualunque situazione di vita e di necessità e per i seminaristi.

Significativa, quindi, per me e tutta la mia comunità è stato il luogo della celebrazione: la Cappella del Seminario Maggiore di Genova; un grazie particolare va proprio ai seminaristi che hanno curato la liturgia e il canto con tanto impegno e amore e hanno reso la celebrazione solenne… come una liturgia “nuziale”. Così è la Professione religiosa.

 Sr.Sandra