"PICCOLA OPERA REGINA APOSTOLORUM"

n. 3 - giugno 2005


PRESENTAZIONE
 
 

Cari lettori,

eccoci al numero estivo del nostro periodico. E’, tradizionalmente, il contesto in cui narriamo qualche avvenimento “di casa” insieme alle iniziative di Perletto per i prossimi mesi.
Inoltre, come sempre, riportiamo qualcosa della sapienza dei nostri Fondatori, in questo caso, una Lettera che Mons. Vailati, allora Vescovo di Manfredonia, scrive ai suoi Sacerdoti... testimonianza di una grande paternità e pastoralità.
In Gesù Eucaristia, centro del nostro cuore e della Chiesa, vi portiamo tutti nel cuore, augurando una estate ricca di frutti spirituali a servizio delle nostre Comunità.

Suor Maria Giuseppina

 

LE NOSTRE FONTI

Mons.Valentino Vailati

  NOVISSIMA VERBA

 Le buone doti umane 

 

La grazia sacramentale dell'Ordine non distrugge la na­tura umana, ma la perfeziona, rendendola più idonea ad esercitare un ministero che, se è indirizzato alla gloria di Dio, deve pur svolgersi tra gli uomini.        
Pertanto le buone doti umane, quelle che concretamen­te si riassumono in un "buon carattere" , sono indispensabi­li per rendere il ministero sacerdotale agevole, ben accetto e fruttuoso. Per quanto siano misteriose le vie della Grazia divina, questa normalmente si serve degli strumenti umani. E i Sacerdoti che debbono vivere non tra gli angeli ma tra gli uomini, hanno l'obbligo di avere, per dono di natura o per conquista di educazione, quelle doti che attirano gli uomini a Cristo.
"I Presbiteri sono stati presi fra gli uomini e costituiti in favore degli uomini stessi nelle cose che si riferiscono a Dio per offrire doni e sacrifici in remissione dei peccati: vivono quindi in mezzo agli altri uomini come fratelli in mez­zo ai fratelli. Così infatti si comportò Gesù Cristo nostro Si­gnore...".
Chi vive in mezzo al popolo, deve possedere l'arte di trattare con il popolo. Se questa regola vale per qualsiasi impiegalo (e i datori di lavoro vi danno molta importanza), essa s'impone con ri­gore al ministero dei Sacerdoti che, attraverso le vie umane, con l'aiuto della Grazia, debbono condurre gli uomini a Dio.
"Per raggiungere questo scopo, di grande giovamento risultano quelle virtù che giustamente sono molto apprezza­te nella società umana, come, ad esempio, la bontà, la since­rità, la fermezza d'animo e la costanza, la continua cura per la giustizia, la gentilezza e tutte le altre virtù che raccomanda l'Apostolo Paolo quando dice: "Tutto ciò che è vero, tutto ciò che è onesto, tutto che ciò è giusto, tutto ciò che è santo, tutto ciò che è degno d'amore, tutto ciò che merita ri­spetto, qualunque virtù, qualunque lodevole disciplina: questo sia vostro pensiero (Fil. 4,8)".
Cari Sacerdoti, non sarà inutile una revisione di vita su questa base delle buone doti umane con cui dobbiamo eser­citare il ministero di verità, di riconciliazione, di grazia ver­so gli uomini, nel loro ambiente, nella loro condizione sociale. Dobbiamo riconoscere che tante difficoltà, tanti in­successi, contrasti, reazioni, sono dovute, almeno in parte, alla nostra mancanza di tratto, di buona educazione, di pa­ziente attesa, di saggia tolleranza. È pur vero che il Signore alla fine mette le cose a posto, ma a noi rimane il dovere di facilitare, con le buone maniere, le sue vie.
Oltre gli esempi dei Santi, può giovare la lettura delle pagine che A. Manzoni dedica alla formazione umana e cristiana di Federigo Borromeo, uno degli uomini rari in qua­lunque tempo, che abbiano impiegato un ingegno egregio, tutti i mezzi di grande opulenza, tutti i vantaggi di una con­dizione privilegiata, un intento continuo, nella ricerca dell'esercizio del meglio. La sua vita è come un ruscello che, scaturito limpido dalla roccia, senza ristagnare né intorbi­darsi mai, in un lungo corso per diversi terreni, va limpido a gettarsi nel fiume...
Era di facile abbordo con tutti, credeva di dovere spe­cialmente a quelli che si chiamano di bassa condizione, un viso gioviale, una cortesia affettuosa; tanto più, quanto ne trovava meno nel mondo... Ben raro era il risentimento in lui, ammirato per la soavità dei suoi modi, per una pacatez­za imperturbabile, che si sarebbe attribuita a una felicità straordinaria di temperamento; ed era l'effetto d'una disci­plina costante sopra un'indole viva e risentita... (I Promessi Sposi, cap. XXII)


IL SACERDOTE E L'EUCARISTIA

Dopo aver introdotto la presente lettera con una riflessione sulle "buone doti umane", mi preoccupo di trovare un motivo di base, un valore unificante tutta la vita e il ministero del Sacerdote. Sono sicuro di averlo trovato nella "Eucaristia" .
Il Sacerdote nasce dalla Eucaristia.
Il Sacerdote fa l'Eucaristia.
Il Sacerdote deve vivere l'Eucaristia.
I Vangeli ci documentano il giorno della istituzione del­la Eucaristia e la immediata istituzione del sacerdozio ministeriale. L'immediatezza non è soltanto cronologica, ma causale. L'Eucaristia diventava feconda con la nascita del sacerdozio.
"Fate questo in memoria di me". Con queste parole che S. Luca e S. Paolo ci hanno conservato, l'Eucaristia, istituita nel Cenacolo, si perpetuerà attraverso i secoli come il sacrificio, nel quale la Chiesa, a sua volta, per ordine di Cristo, al quale è associata indivisibilmente nell'unità di uno stesso sacerdozio, offre a Dio ciò che Cristo gli ha offerto: la sua morte e la sua passione; e come Egli glielo ha offerto, nel rito di una immolazione sacramentale e mistica, cioè simbolica, presa dalle apparenze del pane e del vino, di cui si ricoprono il corpo e il sangue del Salvatore, dalla voce del Sacerdote, che promulga le parole che risuonarono nella santa Cena. Il comandamento di Gesù (fate questo...), ha dato origine al sacrificio della Eucaristia e al Sacerdozio che lo deve compiere.
Dunque Eucaristia e sacerdozio sono intimamente uniti, non soltanto nell'origine, ma anche nello sviluppo storico: è il prete che fa l'Eucaristia! Ineffabile mistero di dignità e di amore, su cui riflettere a lungo.
È vero che la "Messa" non è un'azione sacra privata. Il Sacerdote compie il sacrificio eucaristico in persona di Cristo e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo. La Sinassi eucaristica è il centro della comunità dei cristiani, è presieduta per divino mandato dal presbiteros.
È più profondo di quanto può sembrare il detto corrente in mezzo al nostro popolo: il prete è uno che dice Messa.
Quanto tempo ci vuole per celebrare, anche bene, la Messa? Diciamo mezz'ora con comodo. Ci sono molte altre celebrazioni (ad esempio le diffuse celebrazioni della Paro­la), per le quali impieghiamo lodevolmente più tempo. La ripetitività della Messa può indurci alla sazietà, alla fretta, alla minor stima. È doveroso reagire riflettendo che "tutti i sacramenti, come pure tutti i ministeri ecclesiastici e le opere di apostolato, sono strettamente uniti alla sacra Eucaristia e ad essa sono ordinati. Infatti nella santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua e pane vivo, che, mediante la sua carne vivificata e vivificante nello Spirito Santo,
vita agli uomini, i quali sono in tal modo invitati e indotti a offrire insieme a Lui se stessi, il proprio lavoro e tutte le cose create. Per questo l'Eucaristia si presenta come fonte e culmine di tutta la evangelizzazione" .
Come conseguenza di questa dottrina del Vaticano Il, che riassume quella della Tradizione e del Magistero, posso parlare di una "spiritualità eucaristica", che impegna il Sacerdote nei suoi fondamentali doveri, in quelli cioè che lo caratterizzano come ministro di Dio e dispensatore dei mi­steri di Cristo. 
Si può forse immaginare un prete che non preghi? Nella Messa c'è la preghiera più perfetta, perché in essa Gesù Cristo rende al Padre il massimo della gloria, la pie­nezza della adorazione, della lode, del ringraziamento, della benedizione. Il Sacerdote che celebra l'Eucaristia rende testi­monianza al Padre nella fede, ringrazia, loda, benedice, im­plora la salvezza per tutti.
L'Arcivescovo di Torino, Card A. Ballestrero: a proposito della Messa celebrata dal santo Curato d'Ars, fa que­sta osservazione: - Il Curato d'Ars aveva un solo domici­lio in Chiesa, davanti al tabernacolo. Di giorno e di notte chi lo voleva trovare doveva andare li. L'osmosi tra il Curato d' Ars e l'Eucaristia celebrata era un evento che cresceva di giorno in giorno, maturava incessantemente e colmava la sua vita di una impressionante capacità di comprendere il mistero e di una efficacia mirabile nel proclamarlo, nel servirlo.

Nella formula consacratoria eucaristica, noi affer­miamo che il Signore Gesù si è offerto e si offre continuamente "in remissione dei peccati". L'Eucaristia è unita cosi al perdono dei peccati e alla riabilitazione dei peccatori.
Il sacramento della Penitenza è distinto da quello dell'Eucaristia, ma ad esso è ordinato e da esso riceve quel Sangue divino che lava il mondo da tutti i suoi peccati. È possibile celebrare la Messa senza pensare al valore espiatorio del Corpo di Cristo "dato", dal Sangue di Cristo "sparso" per perdonare agli uomini peccatori? E tali siamo tutti.
La Messa ci deve far comprendere la drammaticità del peccato come mistero dell'uomo e l'infinità della misericordia come mistero di Dio. In tal modo il ministero del confes­sionale diventa una passione apostolica, suscita in noi la compartecipazione, ci rende attenti e riverenti verso il fratello che chiede perdono, ci libera dalla fretta, dalla superficialità, dall'abitudine, dal pericolo di ascoltare i peccati con la disinvoltura con cui ascoltiamo il bollettino metereologico.

Nel ministero della penitenza dovremmo vivere i momenti culminanti del nostro amare i fratelli, come il Signore ci ha amato, lasciandoci, nella Eucaristia, la sorgente sempre viva del perdono.
La nostra gente, nelle parrocchie sia di città che di paese, resta edificata dal Sacerdote che celebra bene la Messa; ma è indispensabile per la vita cristiana, in tutte le età e con­dizioni, che i nostri fedeli possano accostare Sacerdoti confessori illuminati, pazienti, zelanti che, oltre il perdono dei peccati, sappiano fare del confessionale una scuola di santità.

Riprendo le parole della consacrazione: offerto, versato, sacrificio.

Nella logica di queste parole che pronunciamo "in persona Christi" c'è tutta la sua vita di immolazione, dalla nascita nella povertà di Betlemme sino alla morte in Croce. L'Eucaristia non è semplicemente un rito, una memoria, ma è un sacrificio rinnovato. Diverso è il modo, ma sempre sa­crificio. Verità di fede.

È mai possibile che il prete non si senta coinvolto da questo stato sacrificale in cui si trova il suo Signore? Non parliamo di atti eroici, ma di quei piccoli gesti di mortificazione, di rinuncia, di penitenza, una volta molto raccomandati e dei quali oggi spesso si ride... Che male c'è a mangiare a sazietà, a bere a sazietà, a dormire quando se ne ha voglia? Che male c'è occupare lungo tempo in letture frivole, nell'ascolto della televisione, nell'accettare il piacere del fumo o di altri svaghi?

Risponde il Vaticano II: "Nella loro qualità di ministri delle cose sacre, e soprattutto nel sacrificio della Messa, i Presbiteri agiscono in modo speciale a nome di Cristo, il quale si è offerto vittima per santificare gli uomini; sono pertanto invitati a imitare ciò che trattano, nel senso che, ce­lebrando il mistero della morte del Signore, devono cercare di mortificare le proprie membra dai vizi e dalle concupiscenze". Che fare in concreto?

"Facciamoci bastare il poco e liberiamoci dall'inutile, dal superfluo, dall'effimero, dal vano. La nostra vita è diventata una specie di magazzino di infinite cose: questo ci vuole, dell'altro non si può fare a meno. Su questo punto dobbiamo anche dire che la nostra vita di penitenti, di configurati a Cristo in Croce, diventa esigenza di una certa povertà nel vivere, per cui il superfluo, a poco a poco, lo si elimina e questa eliminazione dilata la possibilità della carità e soprattutto la libertà, interiore ed esteriore. Il che è comunque prezioso, oltre ad essere testimonianza precisamente di un sacerdozio non imborghesito, di un Sacerdote non diventato simile a tutti ".

Sempre dalle medesime parole consacratorie, comprendo la disponibilità al servizio e la sua universalità.

1) Essere disponibili alla volontà di Dio, dove Egli ci chiama. Nella Eucaristia ne troviamo il motivo più evidente. Così lo descrive S. Alfonso M. De Liguori in una delle sue Visite al SS. Sacramento (XXV):

"Egli il Re del cielo scende dal cielo per obbedienza all'uomo, e sugli altari poi pare che resti a trattenersi per ob­bedire agli uomini. Ivi sta senza muoversi da se stesso: si fa porre là dove lo pongono, o negli ostensori esposto o nei tabernacoli chiuso; si lascia portare per dove lo portano, per le case, per le strade; si fa dare nelle comunioni a chi le danno, o sia giusto o sia peccatore. Mentre visse su questa terra, dice S. Luca che egli ubbidiva a Maria e a Giuseppe; ma in questo sacramento egli ubbidisce a tante creature, quanti sono i Sacerdoti della terra. Ego autem non contraddico (Is. 50,5)"( Card. Ballestrero )

Qualcuno potrà dire che questo di S. Alfonso è un linguaggio un po’ infantile, per far colpo sul popolo. Ammettiamo, ma la sostanza della verità rimane intatta.
E la verità è questa: dinnanzi alla immolazione sacrifi­cale della Eucaristia, noi Sacerdoti che celebriamo la Messa, non possiamo più intendere il nostro sacerdozio come una promozione personale, come una realizzazione personale, come un vantaggio, un interesse privato. Se comprendo l'Eucaristia che celebro, la mia aspirazione deve essere quel­la di servire, di offrirmi, di logorarmi, senza preoccupazioni del dove e del come, ma piuttosto con la preoccupazione della fedeltà alla volontà salvifica del Signore.
È questo un discorso di lusso, adatto per qualche Sacerdote privilegiato?
Non mi pare, perché si tratta di un atteggiamento di fede, di umiltà, di generosa disponibilità, di dimenticanza di sé, di offerta. Si tratta insomma di vivere l'Eucaristia.

2) Il sacrificio Eucaristico ci apre alla universalità del nostro ministero. "Corpo offerto e Sangue versato per tutti" .
I Sacerdoti sono ministri di Cristo, perché all'interno della comunità, rendono viva, attuale la presenza di Lui, Capo della Chiesa, sommo ed eterno Sacerdote, che si offre al Padre per la salvezza di tutti gli uomini.
Ci è stato insegnato che la Messa ha anzitutto un valore universale. Non troviamo difficoltà ad ammettere questo punto di dottrina. Può esserci invece una difficoltà pratica: l'aver cura di una parrocchia, di una chiesa, di una associa­zione, l'essere impegnati in un servizio particolare, facil­mente ci conduce, se non a dimenticare, almeno a trascurare l'universalità della Chiesa, nella sua missione evangelizzante e salvifica. Anche se fossimo a capo di una piccola comunità di fedeli, con problemi limitati, con povere aperture pastorali, dobbiamo sempre ricordarci che, celebrando l'Eucari­stia, noi sacrifichiamo Gesù Cristo "pro mundi vita". Sia­mo pertanto e rimaniamo, in qualsiasi luogo o circostanza, Sacerdoti per tutti, impegnati a vivere in pienezza missionaria il nostro ministero.
 

EUCARISTIA E COMUNIONE FRATERNA

 Dedico l'ultima parte della lettera alla fraternità sacer­dotale, che deve scaturire dalla Eucaristia quotidianamente celebrata.
Sappiamo che l'Eucaristia, sacramento e sacrificio per­manente, è segno di unità, vincolo di carità, sorgente di amore: Amatevi gli uni gli altri, come lo vi ho amato.
Ne parliamo spesso e a gran voce. Ma, attenti: la frater­nità non può essere soltanto una etichetta che noi mettiamo al presbiterio; deve essere una esperienza di vita, un insieme di atteggiamenti abituali, nei quali la fraternità sacerdotale si esprime.
Come stiamo in diocesi a riguardo di questa benedetta fraternità? Non voglio essere pessimista, ma credo che dob­biamo percorrere ancora un lungo cammino per meritare la gioiosa testimonianza del popolo di Dio: "Vedete come si vogliono bene". Ciò è necessario, perché ha detto il Mae­stro Gesù: "Da questo conosceranno che siete miei discepo­li, se vi amerete" (Gv. 13,35).

Tutti i Sacerdoti della diocesi sono tenuti a:

- conoscersi

- volersi bene

- farsi presenti

Queste  sono tre regole fondamentali della fraternità sacerdotale… Occorre una cono­scenza fraterna, che sia simpatia, desiderio di incontro, disponibilità al dialogo; una conoscenza che diventi reciproco arricchimento.
Oggi questa conoscenza, che esige anche la tranquillità del tempo, è diventata più difficile, perché abbiamo sempre fretta, siamo presi da tanti impegni... Con gli attuali mezzi di locomozione, è diventato più facile incontrarci, ma rimane ancora difficile "conoscerci" come fratelli.
Dalla conoscenza deriva la benevolenza.
Volersi bene tra Sacerdoti di un medesimo presbiterio, significa essere capaci di condividere qualche cosa, di mettere insieme qualche esperienza. Non può bastare un volersi bene anonimo; deve essere positivo, partecipato, sollecito, attento, con capacità di capire, volontà di compatire e di aiutare.
Questa benevolenza fraterna sacerdotale non nasce spontaneamente, ma deve essere coltivata nella comunione di preghiera e di grazia. Cristo ci ha amato sul serio!
Quali impedimenti incontriamo?
Anzitutto una certa pigrizia, o un certo egoismo che ci fa preferire di vivere nel nostro mondo, senza aver fastidi nell'ascoltare o nell'incontrare gli altri con fratelli.
Poi l'illusione di essere "benevoli", perché si coltiva l'amicizia con i Sacerdoti che stanno distanti 50 Km., mentre con quelli della medesima parrocchia, paese, zona pastora­le, non c'è amicizia.

Questi e altri impedimenti non ci debbono spaventare.

L'egoismo è un tarlo sempre in azione. Dobbiamo piuttosto spaventarci, se siamo indifferenti ad una verifica seria dei nostri rapporti di amicizia con i confratelli. La benevolenza d'amicizia comporta l'aiuto fraterno, la presenza non solo affettiva, ma anche effettiva. Gli esem­pi si presentano abbondanti. C'è un Sacerdote malato. Chi lo va a trovare? Si sente dire che un con fratello è tribolato o per un motivo o per un altro, che è stato colpito da un lutto. Chi sa essergli vicino? C'è un Sacerdote in particolari necessità? Il rapporto fraterno dovrebbe essere tale, per cui que­sto Sacerdote non dovrebbe avere alcuna difficoltà a comunicare la necessità in cui si trova, e gli altri Sacerdoti non dovrebbero avere alcuna difficoltà ad aiutarlo. Se invece ognuno pensa ai casi suoi e lascia che gli altri si arrangino, non possiamo dire di avere, in mezzo ai nostri fratelli, una pre­senza di carità.
Giova sempre meditare e confrontarci sui segni concreti della carità, come li indica S. Paolo, nella prima Lettera ai Corinti, capo XIII. È lo Spirito Santo che c'invita a scrutare la profondità del nostro cuore così facile ad ingannarsi.
La verità darà ali alla carità. 

CONCLUSIONE 

Cari Sacerdoti, queste pagine (novissima verba), non contengono nuove dottrine e neppure speciali approfondi­menti sulla dottrina tradizionale. Non ho inteso presentarmi a voi come un teologo, ma come un padre che ama i suoi figli e li desidera felici e santi.
Dal 1972 ad oggi, i Sacerdoti diocesani da me ordinati sono 24. Di questi posso chiamarmi padre del sacramento dell'Ordine del presbiterato ad essi conferito nella continua successione apostolica e nella potenza dello Spirito Santo. A tutti, Sacerdoti anziani e giovani, lascio due ricordi: 
1) Siate sempre felici di essere Sacerdoti, a servizio del­la Chiesa di Cristo Nostro Signore. Questa gioia non può derivare dalla superficialità davanti ai problemi personali, o ecclesiali, tanto meno può essere conseguenza della mancan­za di incomprensioni, contrasti, insuccessi, a causa dei superiori, dei confratelli, dei fedeli nell'esercizio del ministero pastorale. Ogni giorno ha la sua croce.
Auguro la gioia della fede ancorata nel Cristo morto, ma risorto; la gioia che si alimenta nella Eucaristia e nella preghiera personale; la gioia che si fortifica nel sacrificio e nella obbedienza; la gioia che si dona agli altri, senza nulla pretendere, perché ci basta solo Dio.
Il Sacerdote che è convinto del dono speciale della voca­zione come segno di amore da parte di Dio (dilexit me), non può non essere e quindi vivere nella gioia e nella pace. 

2) Siate sempre molto devoti della Madonna. Quale debba essere questa devozione dei Sacerdoti, come Figli prediletti, verso la gran Madre di Dio, ho spiegato nella lettera indirizzatavi l'anno scorso in occasione dell' Anno Mariano.
Sono convinto, per fede e per esperienza, che il Sacerdote trova nella Madonna la Madre, il modello, la guida, l'aiuto, il conforto, la misericordia. Bisogna lasciarle eserci­tare la sua missione di "Madre", per saper cantare con Lei il "Magnificat" in ringraziamento al dono del sacerdozio, e per saper rimanere oranti insieme con Lei, nel Cenacolo del nostro ministero pastorale, docili allo Spirito Santo che ci renda fedeli servi della Chiesa. 

†Valentino Vailati Vescovo di Manfredonia-Vieste

8 Dicembre 1988 - Chiusura dell’Anno Mariano

  

TESTIMONIANZE 

Da “Quelli del Sabato …” a “Quelli del Giovedì…” 

Da alcuni anni un gruppetto di preti genovesi si incontra periodicamente  presso il noviziato della P.O.R.A. per pregare un po’ insieme e crescere nell’amicizia.

Il tutto è molto semplice, poco “costruito”, cioè non è un impegno che si aggiunge ad altri (in genere molti!) che occupano le nostre giornate.

Fino allo scorso anno l’appuntamento era mensile, al sabato sera. Quest’anno abbiamo pensato che poteva essere bello incontrarci  settimanalmente e così dalla quaresima l’incontro è passato al Giovedì per pranzo.

Personalmente ci ho messo un po’ ad accogliere i ripetuti inviti a partecipare, non per un qualche pregiudizio, ma semplicemente perché è molto facile lasciarsi prendere dalle “cose da fare” e magari dalla stanchezza e chiudersi. Durante gli esercizi spirituali di due anni fa, ho riflettuto sull’importanza di avere occasioni di incontro fraterno con altri amici preti e ho deciso di cogliere questa opportunità.

L’esperienza è molto essenziale. Uno spazio di preghiera silenziosa (ne abbiamo davvero bisogno…) davanti a Gesù Eucaristia nell’accogliente cappella, la liturgia delle Ore, la condivisione di motivi di lode, di preghiera… Segue il pranzo che è momento di scambio, di serenità, di allegria, di confronto di progetti, opinioni, difficoltà. Non va nemmeno sottovalutata la possibilità di pranzare insieme e con meno fretta del solito.

Il clima è molto sereno. C’è la libertà di esprimere quello che abbiamo dentro, quello che stiamo vivendo a livello personale, di ministero, di impegno pastorale. La delicatezza e l’accoglienza “di cuore” delle sorelle della P.O.R.A. è un dono che impreziosisce il nostro incontrarci. 

Siamo parroci, preti con incarichi particolari in diocesi, preti diversi per carattere, per esperienze, per età,  che fanno uno STOP nella settimana, che fanno un po’ di silenzio, che pregano insieme, che si scoprono amici, che condividono fatiche e speranze nell’impegno di servire il Vangelo dentro la nostra chiesa locale nelle sue diverse articolazioni.

“Tutti i presbiteri sono uniti tra loro da un’intima fraternità sacramentale, ma in modo speciale essi formano un unico presbiterio nella diocesi…Ciascuno è unito agli altri membri del presbiterio da particolari vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità…è bene che si riuniscano volentieri per trascorrere qualche momento di distensione e di riposo, ricordando le parole con cui il Signore stesso invitava gli apostoli stremati dalla fatica: Venite in disparte e riposatevi un poco”.  Queste parole del concilio vaticano II illuminano lo scopo ed il significato di questi nostri incontri.

Un “gruppetto”, dicevo all’inizio: sì non molti, ma davvero… la porta è aperta ad altri confratelli che vogliono unirsi. Non si tratta, voglio sottolinearlo, di aderire ad un gruppo o ad un’associazione, ma molto più semplicemente di ritrovarsi per trascorrere insieme un momento di distensione nella preghiera e nella fraternità. 

Don Claudio 

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Mentre, con gioia, salutiamo il nostro Santo Padre Benedetto XVI, chiedendo per Lui forza e sostegno nel suo dono, in Cristo, alla Chiesa, pubblichiamo questa breve  testimonianza sulla significativa presenza e vita del nostro compianto Papa Giovanni Paolo II. 

SANDRA, GUARDA IL PAPA 

Siamo in Cattedrale per la recita del Santo Rosario; con esso vogliamo essere vicini a Giovanni Paolo II e unirci con il resto del mondo che per lui prega. Non sono ancora le 22 del 2 Aprile e il Cardinale conclude con la preghiera di Consacrazione a Maria del Santo Padre.

Mi distraggo per un attimo… riecheggiano in me le parole di mia mamma pronunciate nel 1979 quando, con tutta la mia famiglia, ci  recammo a Roma in occasione della Santa Pasqua: "Sandra guarda il Papa!". Ero piccola, sapevo poco chi fosse il Papa… guardavo lui, ma forse ero più distratta da tutti quei palloncini che volavano in cielo, erano tanti e tutti colorati.

Qualche minuto dopo il Cardinale si avvia verso la sacrestia, Mons Palletti gli si avvicina e gli comunica che il Santo Padre è spirato qualche minuto prima. Commosso, l’Arcivescovo riferisce anche a noi questa notizia. Non riesco a trattenere le lacrime…

" Sandra guarda il Papa". Le parole di mia madre mi penetrano come una profezia... “guarda la sua preghiera, guarda il suo amore per i giovani, guarda la sua carità, guarda la sua devozione a Maria, guarda la sua accettazione della sofferenza, guarda....Guarda a lui perché sia un sostegno nel tuo cammino”.

Grazie, Santo Padre, Papa della mia giovinezza, ti porterò nel cuore e sono sicura di aver trovato un sostegno nella mia vita spirituale! 

Suor Sandra 

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PER MEDITARE 

Preghiera di alleanza
un modo di proporre l’esame
 

Pierre Gouet, S.J. 

Le pagine che seguono ci sono state date da uno dei partecipanti al corso tenutosi a Chantilly nel giugno 1985. Esse sono un riassunto fedele dell'intervento orale, più esteso, di Pierre Gouet. 

Si deve risalire molto indietro. Non c'era più la consuetudine dell'esame, se non nel senso letterale almeno nel suo spirito. La parola stessa «esame di coscienza» dava già un poco l'idea di colpa. La parola «coscienza», capita male, dava l'idea di un bilancio sulla moralità della giornata e, logicamente, era sempre il piatto del male a prevalere! Di qui una tendenza al moralismo, al narcisismo, all'introspezione, alla chiusura. Sono già stati fatti parecchi sforzi nel modo di presentare l'esame (vedere ad es. Claude Flipo, Supplement à Vie Chrétienne n. 230 - «Veillez et priez» - dove si parla di «esercizio di vigilanza»).

Negli Esercizi si mettono in risalto cinque punti. Personalmente mi prendo la libertà di ridurli a tre (ho notato, così facendo, che si dà un buon aiuto alle persone):

- conservo il primo: «rendere grazie a Dio...»;

- unisco il secondo, il terzo e il quarto punto;

- conservo il quinto punto: il proposito di emendarsi.

Io propongo l'esame a coloro che chiedono di essere accompagnati e a coloro che esprimono il desiderio di fare un ritiro. E’ un mezzo molto semplice per iniziare un cammino di conversione. Ricordiamoci che prima di consentire a dare gli esercizi a Pietro Favre, Ignazio lo fece aspettare quattro anni, chiedendogli però di fare l'esame. Accompagnamento ed esame sono due realtà che si richiamano l'un l'altra. E’ la pratica dell'esame che darà materia per il dialogo: se la persona può parlare delle consolazioni e delle desolazioni che si verificano nella sua esistenza, del modo con cui essa le affronta, si può cominciare un cammino di discernimento. 

1. Da Te a me 

Quando si propone l'esame, bisogna pure spiegare un poco i suoi presupposti teologici e spirituali e fare un po' di catechesi.

La preghiera su un racconto evangelico provoca varie risonanze, che io devo recepire con attenzione. La preghiera dell'esame è una cosa diversa, perché la materia che prenderò in considerazione non è una storia scritta da altri, ma è la storia della mia giornata, con tutto ciò che essa comporta: quello che ho fatto, ho detto, pensato, desiderato, immaginato... tutto quello di cui sono stato testimone, gli incontri che ho avuto... La mia giornata termina diventando materia della mia preghiera: ci sono delle buone notizie di guarigione, ci sono dei segni di risurrezione, delle storie di lotta, dei rifiuti, ecc. Questa materia produce in me dei moti diversi e mi porta a parlare con Dio, come la preghiera che nasce dal Vangelo. Il colloquio è la mia risposta alla Parola di Dio. Questa sua Parola mi ha toccato e mi permette quindi di parlare e di rispondere.

Bisogna dunque imparare a «raccogliere» un po' le cose: raccontati fedelmente la storia della tua giornata; procedi poi a riflettere in te stesso cercando di scoprire come percepire e gustare questa tua storia (annotazione 2a). «Evocare» porta a «invocare». (Pensiamo a S. Agostino che, ricordandosi delle pere rubate in gioventù, comincia a riflettere dentro di sé e a parlare con Dio). Avrò tante cose da dire a Dio, cominciando da quello che mi è successo nel corso della giornata.

Ciò che è successo è stata cosa del tutto inattesa, è stata una cosa che ancora ieri credevo impossibile: si tratta magari di una cosa che ho chiesto con una parte di me stesso, mentre con l'altra avevo una paura terribile che ciò succedesse (come Israele, ognuno di noi ha paura della libertà); si tratta di una piccola parte del Regno di Dio che si è fatta vicina a noi, come una piccola gemma; il semplice perdono che avrò potuto dare a qualcuno; ho visto parlare insieme due persone che forse non si parlavano da anni; ho potuto toccare con mano che una parola di Gesù era effettivamente vera; forse ho sentito con gioia e per esperienza personale la verità e la consistenza di una frase letta nel Vangelo o altrove...

E’ il momento dunque, prima di tutto, di rendere grazie a Dio per i benefici ricevuti e di dargliene lode (con tutta quella sfumatura di disinteresse personale che c'è nell'espressione «dare lode»: si dà lode a Dio per quello che Lui è). Il primo punto rivela che questo mondo non è né piatto né glaciale. Tutto può diventare un segno; niente è segno di per sé, ma la fede permette di vedere nei doni la presenza del Donatore. Dio ha fatto di me il proprio interlocutore attraverso la mediazione del mondo. Tutto può diventare luogo di incontro tra Dio e me.

Chiamerò dunque questo primo punto: «da Te a me»; che segni mi hai dato Tu oggi della tua presenza e della tua azione nel mondo? Invito la persona a contentarsi del primo punto per un mese e, al nostro prossimo incontro, parleremo delle difficoltà incontrate e dei frutti raccolti. 

 2. Da me a Te 

Possiamo chiamare il secondo punto: «da me a Te», perché questa preghiera dell'esame tende di per sé a educare al senso della reciprocità tra Dio e me, all'interscambio reciproco (EE, 231). Questo senso dell'alleanza tra Dio e il suo popolo è l'asse portante della Scrittura (vedere, ad es. Giosué 24). Alla luce dei doni ricevuti io posso vedere nella mia giornata tutti i modi da me messi in atto per fare di me «un piccolo dio», i miei piccoli moti di orgoglio, le mie mancanze di delicatezza... «Contro di Te, contro Te solo ho peccato». Il peccato è un fatto di relazione, si inquadra nel contesto di un'alleanza. Ed è in questo contesto che si pone la domanda di perdono, che è la base del colloquio di questo secondo punto.

Quali frutti trae la persona da questo secondo punto? Prima di tutto la verità e insieme la percezione di un «qualcosa» che si ripete quasi ogni giorno. A partire da questo punto, nasce l'esame particolare. Bisogna aiutare molto nella pratica di questo esame, indicandone i mezzi. Se per esempio qualcuno si è reso conto che il punto focale della sua lotta è la violenza e la riconosce in sé, gli si può suggerire di cercare nella Scrittura una parola o una frase da contrapporre a ogni pensiero di violenza. Gesù risponde al Tentatore con una Parola della Scrittura. Ognuno deve scoprire a poco a poco la propria piccola strategia per dare inizio al combattimento spirituale; e bisogna che possa parlare di tutto ciò.

E’ a questo punto che si situano le regole di discernimento. spirituale(Prima Settimana); per esempio: non regolarsi con il nemico in modo obliquo e sfuggente, ma affrontarlo francamente (EE, 325). Se la persona sperimenta di godere di una certa libertà in un dato campo della propria vita, per piccolo che sia, aiutiamola a gustare e godere di questa libertà; aiutiamola, ad esempio, a gustare la beatitudine dei miti (e non si tratta di parole vuote), facciamole gustare la verità del Vangelo. Gesù tiene fede alle sue promesse di felicità; il Cristo fa quello che dice. Si tratterà forse di una cosa minima, ma sarà l'esperienza della salvezza a progredire nella vita di una persona. 

3. Noi due, domani 

Ecco allora il terzo punto, che corrisponde a quello che Ignazio negli Esercizi chiama «il proposito di emendarsi» (EE, 43). Questo proposito non è una cosa velleitaria; esso ha le sue radice nell'esperienza del perdono ricevuto e devo anche prendere sul serio i legami che mi uniscono a Lui. Il punto di rifiuto diventa il nostro migliore legame e il nostro punto di alleanza. La mia legge è il mio legame con Te, la mia legge sei Tu. «Per me vivere è Cristo» (Fil 1,21).

Questo terzo punto va visto in prospettiva: «Che cosa diventeremo noi due domani?». Se ci sono delle preoccupazioni, le colloco fra Lui e me, in intimo colloquio, per ripartire poi di nuovo, con Lui, forte della misericordia ricevuta e per testimoniare questa misericordia ai miei fratelli.

Insisto molto sulla reciprocità. L'Alleanza è il cuore della Rivelazione. Chiamo perciò l'esame «Preghiera di alleanza»; in tal modo c'è minore rischio di narcisismo. E’ la preghiera del nostro legame con Dio e con il mondo, che bisogna custodire con la stessa fedeltà. 

I suoi frutti sono:

- un entrare nel discernimento degli spiriti

- lo strutturare una vera vita spirituale

- l'instaurarsi di una familiarità con Dio

- il non poter guardare il mondo senza trovarci Dio e, viceversa, il non potermi confrontare con Dio senza il mondo. 

* Estratto da Notes et Pratiques Ignatiennes,

gennaio 1986, O. T. 24-031; 043;

traduzione italiana di Bea Corsini (Firenze). 

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Prego per i Sacerdoti 

Signore Gesù, 

ti ringrazio e ti adoro nel dono del Sacerdozio che oggi vive nei tuoi Sacerdoti.

Attraverso di essi tu porti la tua stessa presenza che è pace, amore, perdono, consolazione, guarigione del cuore, gioia  profonda, salvezza…

Ti ringrazio perché, per renderti presente, hai scelto e chiamato uomini fra noi,  per insegnarci, ancora una volta, la gratuità del tuo amore.

Ti prego per i miei fratelli Sacerdoti: per quelli che conosco e per quelli che non conosco e che hanno bisogno di essere sostenuti, consolati, ricordati...Siano strumento di Te, nella memoria riconoscente della chiamata che li rende grandi nella fedeltà del Tuo Amore.

Fa’, o Signore, che la mia preghiera, oggi, possa essere unita alla tua, quando, in quell’ultima sera con i tuoi discepoli, hai pregato per loro, per tutti loro, fino alla fine dei tempi…

“Custodiscili...consacrali...per loro io consacro me stesso…” (Gv.17,19)

 

AVVENIMENTI DI CASA 
 

FAMILIARI DEL CLERO 

La gioia di un incontro 

La nostra Associazione “ Familiari del Clero” la sera del 28 Gennaio si è riunita per un incontro speciale. Infatti, su un esplicito invito del Cardinale, si era attesi in Episcopio per un momento di preghiera e di conoscenza.
E’ risaputo quanto il nostro Arcivescovo ami e segua i suoi Sacerdoti giovani e anziani, ma questa particolare attenzione rivolta ai Genitori e Familiari del Clero ha commosso tutti profondamente. Numerosa è stata, quindi, la risposta e la partecipazione a tale invito. Solo il fatto di essere accolti per la prima volta in quel grandioso salone tra arazzi e luci, costituiva una cornice nuova, solenne e assai gradita.
Il Cardinale ha celebrato la Santa Messa e rivolto parole di considerazione e di sentito ringraziamento a quanti seguono e accompagnano i Sacerdoti nel quotidiano con affetto e discrezione, partecipando in tal modo, più con i fatti che a parole, al loro stesso ministero nella comunità cristiana. Ha poi voluto esprimere la sua gratitudine salutando tutti ad uno ad uno: quello sguardo profondo e quella stretta di mano scambievole erano segno di un legame autentico che si rinnovava e si rafforzava tra il Pastore della Diocesi e l’ambiente familiare dei suoi Ministri a lui intimamente uniti da un vincolo misterioso e sacro.
Grazie per il dono di essere al servizio della Chiesa nella persona dei Sacerdoti!
Grazie per l’unione certa e sicura con la saggia sollecitudine del nostro Arcivescovo. 

Suor Luigina P.O.R.A.
Sorella di un Sacerdote

AVVENIMENTI DI CASA E STORIA 


La P.O.R.A. e i suoi fondatori al Convitto Ecclesiastico
 

L’11 marzo 2004, in occasione della celebrazione del decimo anniversario della erezione della Piccola Opera Regina Apostolorum a Congregazione Religiosa di Diritto Diocesano, il compianto Mons. Giovanni Cicali inviò un biglietto alla Superiora Generale Suor Maria Giuseppina Valmori in cui tra l’altro scriveva:

“...E’ un’occasione per ricordare, per ringraziare... per il dono che il Signore ha fatto ai Sacerdoti genovesi. Ricordo soprattutto la Fondatrice Suor Ada Taschera. Il rinnovamento del Convitto Ecclesiastico lo si deve al suo Amore al “Sacerdozio”- preghiera, umiltà, saggezza”.Questo meritato riconoscimento ci ha fatto andare indietro negli anni, quando il Convitto subì una svolta decisiva nella conduzione.  
Ci sembra opportuno ricordare brevemente come sono andate le cose e perché la PORA ha fatto il suo ingresso al Convitto Ecclesiastico. E’ stato detto in qualche occasione che a metà del secolo scorso il Convitto si trovava in un notevole stato di degrado e questo costituiva una grave preoccupazione per l’Arcivescovo di Genova, Card. Giuseppe Siri. Lo conferma una lettera del 22 novembre 1956 inviata al suo Vicario Generale Mons. Luigi Recagno, in cui gli esponeva i motivi che lo tenevano “in apprensione” (specialmente dopo un rapporto dell’Amministratore del Convitto Mons. Campi) e perciò lo incaricava di andare a vedere di persona come era la situazione .

“... Si fa notare – scriveva tra l’altro il Cardinale – che l’Arcivescovo non ha mancato di far capire essere suo pensiero portare la residenza dei nostri cari vecchi ad un pieno comfort, riscaldamento etc. Si dà con la presente incarico di fare una visita a fondo, non nascondendo che essa ha vero carattere di inchiesta e – naturalmente tacendo in modo assoluto del rapporto di Mons. Campi. Associare in tale visita il Rev. mo Mons. Cicali, in qualità di competente in materia. Fare presto e con energia”. (firmato: +G. Card. Siri). 
La vigilia di Natale del 1956 Sr Ada Taschera fu convocata da Mons. Cicali, Mons. Marazzi e Mons. Recagno i quali, a nome del Cardinale, le proponevano di “prendere il Convitto perché rientrava negli scopi dell’Opera”. Mons. Cicali disse che Sua Eminenza aveva intenzione di “rimettere a nuovo” la casa e che eventualmente le suore della PORA potevano aspettare che prima fosse ristrutturata. Al che Suor Taschera rispose: “Oh no! Le suore che ci sono (erano le Brignoline), dovrebbero fare quel sacrificio e poi andarsene? Se c’è da fare il sacrificio lo facciamo noi”.  E accettò per obbedienza, consapevole delle grandi difficoltà a cui sarebbe andata incontro, ma desiderosa di spendere tutte le sue energie per i Sacerdoti e per la loro Casa che il Card. Siri le affidava con queste parole: “Stia tranquilla che gliela do e in libera amministrazione, come fosse vostra e in modo che lei possa fare tutto quello che ritiene opportuno per la cura dei Sacerdoti, manutenzione del Convitto, degli altri immobili ecc.”  

Suor Ada Taschera lasciò quindi definitivamente il mondo del lavoro (era dirigente della Ditta Lagomarsino allora rinomata per la produzione di macchine per ufficio) e, con tre suore, iniziò la nuova missione al Convitto il 1° aprile 1957. 
La presenza al Convitto Ecclesiastico di Suor Taschera, denominata da tutti «Direttrice», fu determinante. La casa che, come si è detto era in stato di notevole degrado, gestita da dipendenti laici che ignoravano la presenza di un Rettore e davano alloggio a  chiunque, aveva bisogno di una persona oculata, energica, con particolari doti organizzative, consapevole delle necessità fisiche e spirituali del Sacerdote per il quale occorreva soprattutto profonda stima, rispetto e venerazione.
La Direttrice prese in mano con decisione il Convitto riordinandolo e iniziando a seguire i Sacerdoti ospiti con grande attenzione e sollecitudine materna.
Quanti problemi la Direttrice fece suoi e cercò di risolvere, prima con la preghiera e subito dopo con azione pratica e generosa! Purtroppo non fu sempre capita... Ma Suor Ada che aveva, tra le sue prerogative, un grande coraggio e una profonda rettitudine di intenzione, non si lasciò mai sopraffare dalle difficoltà. Ripeteva sempre che al di sopra di tutti c’è il Signore. Lui solo può giudicare. Occorre tanta fede specie quando si lavora per Lui e per i suoi ministri nei quali più che l’uomo occorre sempre vedere “il sacerdote”.
Dopo pochi mesi iniziarono i lavori di bonifica e ristrutturazione.
Nel frattempo il Card. Siri nominò Mons. Recagno Rettore del Convitto perché, come ebbe a dire in quella circostanza, era la persona più adatta per la cura spirituale dei Sacerdoti, era Direttore della PORA e quindi una guida e un appoggio sicuro anche per la Comunità delle suore nel delicato compito che stavano per intraprendere. Mons. Recagno era Vicario Generale e quindi facilitava al Cardinale i rapporti con i Sacerdoti del Convitto. Lo informava costantemente della loro situazione, delle condizioni di salute, delle varie necessità fisiche e spirituali, dell’andamento dei lavori ecc. e il Cardinale poteva intervenire con cognizione di causa ogni volta che c’era bisogno. Si sentiva tranquillo.

Sotto la direzione intelligente, competente ed oculata del Vicario ad Omnia dell’Archidiocesi, Mons. Giovanni Cicali, i lavori di ristrutturazione affidati all’impresa dell’Ingegner Ottonello, proseguivano a ritmo serrato e dopo due anni la Casa dei Sacerdoti anziani era completamente rinnovata, attrezzata ed efficiente. Tra le prime cose fu installato l’ascensore e l’impianto di riscaldamento. C’erano trentadue camere singole dotate di un lavandino; servizi, bagni e docce in comune in ogni piano, un appartamento per il Rettore e la sua famiglia, un appartamentino con studio e bagno per ospitare eventualmente un Vescovo di passaggio e logicamente l’appartamento per la Comunità delle suore, la cucina, due ampi refettori, due ampie sale al primo piano, due Cappelle interne di cui una piccolissima, situata nell’ala del terzo piano adibita ad infermeria, dove potevano celebrare i Sacerdoti ammalati anche da seduti.  
I Sacerdoti anziani quando venivano ospitati al Convitto erano inizialmente autosufficienti, ma nel caso si fossero ammalati seriamente, se non era necessario il ricovero in ospedale,  continuavano ad essere assistiti e curati dal medico del Convitto con l’ausilio talvolta di specialisti e di infermieri esterni. 

Il Convitto aveva almeno una decina di camere disponibili per ospitare Sacerdoti di passaggio e per una trentina d’anni ne furono ospitati moltissimi sia italiani che stranieri. Quando poi, con la ristrutturazione del 1987-88 le camere furono ridotte di numero, perché dotate ciascuna di servizio, la possibilità di ospitare Sacerdoti di passaggio divenne minima.  
Normalmente i Sacerdoti anziani continuavano ad esercitare un po’ di ministero sia nella Chiesa del Convitto, sia in altre Parrocchie della Diocesi. 

L’attuale Parrocchia dei SS. Pietro e Paolo era originariamente la Chiesa del Convitto e costituiva con esso un’unica struttura. Per accedervi occorreva scendere un’apposita scala interna, un po’ difficoltosa, che portava nell’attuale sacrestia. Perciò, nella ristrutturazione, si tenne conto di rendere più agevole l’accesso alla Chiesa trasformando un intercapedine in un luminoso corridoio che congiungeva l’entrata del Convitto alla sacrestia e così i Sacerdoti anziani, scendendo con l’ascensore, potevano e possono tuttora recarsi in Chiesa senza fatica. 
Mons. Recagno, dopo poco che si era stabilito al Convitto con la sua mamma agli inizi del 1958, ebbe molto a cuore il decoro della Chiesa. C’era bisogno, anche per la Casa di Dio,  di una ristrutturazione capillare. Nonostante fosse molto impegnato nel ministero, tutto dedito alle cose spirituali e ai suoi impegni di Vicario Generale, si dimostrò molto abile anche nelle cose pratiche specie per quanto riguardava la ristrutturazione della Chiesa e insieme ad architetti, impresari e persone competenti in materia, fu lui a proporre le soluzioni migliori per l’ampliamento e la funzionalità dell’edificio.
Prima fu ristrutturato e trasformato l’interno, poi la facciata. Fu costruita la piazzetta antistante (e non fu cosa facile) e la cupola fu ricoperta di rame ecc.

La Chiesa era frequentata anche dagli abitanti della zona in quanto la Parrocchia della Consolazione non era vicina e dopo poco, nel 1961, il Card. Siri decise di erigerla a Vicaria Autonoma per cui Mons. Recagno, esercitando le funzioni di Parroco (Vicario Autonomo), pensò anche di attrezzarla di salette per il Catechismo, di un salone e di un campo da gioco per i ragazzi utilizzando, d’accordo con Mons. Cicali e i Superiori Ecclesiastici, i locali adiacenti (che prima costituivano dei mini appartamenti in degrado) e un po’ di terreno di proprietà del Convitto Ecclesiastico.

Poiché, come si è detto, i Sacerdoti anziani erano disponibili per il ministero e quindi trascorrevano parecchio tempo in Chiesa per celebrare o confessare, la Direttrice fece in modo che la Chiesa fosse dotata di riscaldamento, collegato con l’impianto del Convitto, per evitare che i Sacerdoti si prendessero dei malanni per la differenza di temperatura e questo fu un servizio molto utile anche per i fedeli che partecipavano alle funzioni, alla catechesi e alle varie riunioni.

La Vicaria Autonoma fu poi eretta in Parrocchia dei SS. Pietro e Paolo nel 1968. 

Ci sarebbero molte cose da dire circa l’attività svolta con tanto zelo e spirito di sacrificio  da suor Ada Taschera e da Mons. Recagno durante gli anni trascorsi a servizio dei Sacerdoti anziani, ma non è possibile ricordare tutto e dilungarsi troppo .

E’ doveroso sottolineare che nella conduzione del Convitto c’era una profonda unione di intenti e uno scambio sincero di vedute e di proposte tra i Fondatori della P.O.R.A.,

Mons. Recagno rispettava l’autorità della Superiora, specie nei confronti delle suore, per cui non chiedeva a queste nessun favore o servizio, per sé o per gli altri Sacerdoti, se prima non aveva il consenso della Direttrice. Questa non prendeva iniziative, sia per la casa che per le persone, se prima non aveva sottoposto le sue intenzioni a Monsignore. Era pronta ad obbedire anche quando avrebbe agito diversamente. Se c’era da intervenire per qualche caso difficile, Mons. Recagno, consapevole della sua responsabilità, era pronto ad affrontare la situazione con molta carità e fermezza. Talvolta riceveva delle reazioni poco benevole e non era compreso, ma passava sopra e continuava i suoi rapporti fraterni con tutti come se niente fosse accaduto. Si occupava di ogni Sacerdote con grande attenzione e sollecitudine ed aveva la costante preoccupazione, specie se erano ammalati, di visitarli con frequenza e di amministrare i Sacramenti.
Per tutte le decisioni, e non solo quelle più importanti, la Direttrice incaricava Mons. Recagno di informare il Cardinale e si atteneva alle sue disposizioni. Talvolta andava lei stessa in udienza.
Nei rapporti con i Sacerdoti, faceva il possibile perché ognuno fosse seguito e soddisfatto nelle sue necessità. Chiedeva alle suore che fossero puntuali e pronte nel servizio e procurassero a ciascuno quello di cui aveva bisogno, sempre animate da profonda fede e stima della dignità sacerdotale anche quando, in qualcuno, la fragilità umana aveva il sopravvento.  
Per molti anni tutti i compiti furono affidati alle suore coadiuvate da due o tre collaboratrici, per la pulizia e il riordino delle stanze, e da qualche infermiere assunto temporaneamente per i malati bisognosi di particolari terapie o di assistenza notturna. La Direttrice si occupava prevalentemente dell’amministrazione della casa, degli immobili del Convitto e dell’economato in genere, ma si dedicava non di rado a lavori materiali e all’assistenza dei Sacerdoti ammalati. Inoltre trascorreva parte del suo tempo ad ascoltare e a parlare con i Sacerdoti ospiti specie quando era in portineria.
Questo suo grande cuore e zelo che costituivano un fulgido esempio e un forte incitamento per le sue suore, forse non apparivano esternamente e il suo modo di fare poteva sembrare talvolta autoritario.
Poiché aveva la responsabilità della casa e amava l’ordine e il regolare svolgimento delle attività, il rispetto degli orari e delle norme interne, era considerata da alcuni troppo esigente. Però più d’una persona può testimoniare che spesso, ad esempio, quando qualche Sacerdote non poteva rientrare in orario per motivi di ministero o per altre giuste ragioni, era pronta ad attenderlo, anche fino a tarda ora e a servirgli i pasti in qualunque momento. 
Altra cosa da sottolineare è che negli anni ottanta, in seguito ad una legge che voleva inserire il Convitto Ecclesiastico tra gli Istituti di pubblica assistenza e beneficenza  (I.P.A.B.) e quindi collocarlo sotto la direzione e il controllo della Regione, con Presidente e responsabili laici, suor Ada Taschera si prodigò in ogni modo per dimostrare con un’infinità di documenti e testimonianze (stilati sotto la guida di un certo dott. Solinas della Prefettura di Genova e logicamente col consenso e l’appoggio dei Superiori Ecclesiastici), che il Convitto aveva un’origine diversa dai comuni enti di beneficenza. Era propriamente una Casa del Clero, voluta e diretta da Sacerdoti, con uno statuto ben preciso che, fin dalle origini, stabiliva che il Presidente fosse il Vescovo pro tempore, ecc.
Fece molti viaggi a Roma per presentare la documentazione raccolta agli organi competenti e, poiché la cosa non pareva di facile soluzione, nell’eventualità che il Convitto passasse alla Regione, cercò di studiare il modo per ospitare i Sacerdoti anziani e ammalati in una piccola struttura a spese della PORA. Era come la mamma che voleva custodire i suoi figli nella serenità di una Casa religiosa più consona alle loro esigenze.
Per fortuna il Convitto Ecclesiastico fu “depennato” dall’elenco delle I.P.A.B. e in seguito divenne un Ente giuridico privato. 

Ci siamo un po’ dilungate sull’opera della Direttrice, ma anche per Mons. Recagno ci sarebbero tante altre cose da dire.  Oltre la cura spirituale e il grande amore che aveva per ogni Sacerdote si preoccupava, tra l’altro, di sensibilizzare i fedeli perché contribuissero materialmente alle varie necessità del Convitto come segno di riconoscenza per Coloro che avevano speso tutta la loro vita a servizio delle anime. In occasione dell’annuale Giornata del Convitto Ecclesiastico, indetta dalla Diocesi, telefonava a tutti i Parroci, presentandosi come “il Rettore”, perché non si dimenticassero di fare la raccolta delle offerte durante le Messe. 

I fondatori della PORA iniziarono insieme la loro attività presso il  Convitto Ecclesiastico, tra l’aprile del 1957 e il gennaio del 1958 e ivi risiedettero fino al novembre del 1995 quando, a distanza di soli diciotto giorni, lasciarono per sempre quella Casa, per la quale avevano speso il meglio delle loro energie, per ricevere il premio eterno a loro riservato da Colui che ha promesso la vita eterna a chi l’ha riconosciuto e servito con amore nei fratelli. Insieme quindi hanno concluso la missione che insieme avevano iniziato. 

Le Suore della P.O.R.A. 

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Il 5 Marzo 2005 il nostro Cardinale Arcivescovo Tarcisio Bertone  ha presieduto una solenne Concelebrazione nella Parrocchia dei SS. Pietro e Paolo e successivamente ha  visitato la nuova ala  in costruzione del Convitto Ecclesiastico 

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Il portale della Parrocchia di Pietrabissara 

Domenica 3 Aprile siamo state invitate ad un avvenimento “ nuovo” che ci ha molto rallegrate: l’inaugurazione dei portali in bronzo della Chiesa di Pietrabissara, in cui viene anche raffigurata Suor Ada Taschera, nostra amata Fondatrice e Mons Valentino Vailati.

Perché queste presenze?Mons. Vailati, fu Parroco di Pietrabissara, diventando, poi Vescovo di San Severo e successivamente di Manfredonia-Vieste, nelle Puglie. Un uomo di Dio, stimato e amato dai suoi fedeli.Suor Ada, nel periodo della sua vita in cui sfollò proprio a Pietrabissara, incontrò Don Valentino proprio nel momento in cui, in modo speciale, il Signore stava parlando al suo cuore e suscitando “qualcosa da fare per i sacerdoti”.Egli raccolse queste ispirazioni e le accompagnò col suo consiglio e la sua sapienza soprattutto nei primi tempi.
Per questo consideriamo avvenimenti di casa l’inaugurazione dei portali di Pietrabissara.

E Don Semino, il Parroco, con tanta delicatezza, durante la celebrazione dei Vespri che ha preceduto la benedizione,  ha sottolineato questi fatti. 

 

ESTATE A PERLETTO 

Per ragazze e giovani

che stanno riflettendo sull’orientamento delle loro scelte di vita 

venerdì 10 giugno sera – domenica 12 giugno sera 

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INCONTRO DI RIFLESSIONE E PREGHIERA

per Familiari del  Clero 

venerdì 1 luglio mattina – domenica 3 luglio pomeriggio

Guidati da Mons. Piero Pigollo di Genova 

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ESERCIZI SPIRITUALI

per Sacerdoti 

16 agosto 20 agosto 

Predicati da Mons. Luigi Borzone  Pro Vicario Gen. di Genova 

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GIORNATE DI SPIRITUALITA’

per Diaconi permanenti

della diocesi di Acqui Terme 

22 – 25 agosto 

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CORSO DI AGGIORNAMENTO 

lunedì 29 agosto pomeriggio – venerdì 2 settembre mattina  

FORMAZIONE E CAMBIAMENTO

Percorsi di armonia umana e spirituale

verso una radicalità evangelica ed apostolica 

Moderatore: Don Bruno Roggero della Diocesi di Asti

in collaborazione con l’Edi.S.I. Istituto Edith Stein 

29 agosto pomeriggio:

“ Icone Bibliche sul cambiamento della persona” 

30 agosto mattina e pomeriggio:

“Quali cammini di maturità verso l’armonia umana e spirituale” 

31 agosto mattina e pomeriggio:

“Difficoltà e resistenze della persona di fronte” 

1 settembre mattina e pomeriggio:

La “normalità” della crisi di fronte ai cambiamenti della persona

(trasferimenti, separazioni, età, insorgenza di malattie,cambiamenti apostolici...):

verso la “conversione” 

2 settembre mattina:

“Dopo i cambiamenti, prospettive di radicalità evangelica” 

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ESERCIZI SPIRITUALI

per giovani 

9-11 settembre 

con Mons. Guido Marini di Genova